Carcere, la relazione del Garante: ”54 mila detenuti in strutture sovraffollate e inadeguate”

La relazione al Parlamento di Mauro Palma. Tra i temi affrontati i suicidi e gli atti di autolesionismo, l’incompiutezza del percorso normativo che ha istituito le Rems. Sul tema migranti: “Le presenze all’hotspot di Lampedusa quattro volte superiori al 2017”

Carcere, la relazione del Garante: ”54 mila detenuti in strutture sovraffollate e inadeguate”

”Nel 2021 avevamo auspicato un ritorno alla normalità e la ripresa di connessione con l'esterno. In realtà, tale connessione non si è ripresa. Mentre fuori ha prevalso la volontà di riapertura, dentro ha prevalso e tuttora prevale un’idea riduttiva del rapporto con l'esterno”. Lo ha detto il Garante delle persone private della libertà, Mauro Palma nel corso della sua relazione oggi al Parlamento italiano. 

Analizzando la situazione dell’esecuzione di provvedimenti di natura penale e i problemi all’interno delle strutture il Garante ha iniziato parlando dei minori e “dell’investimento sul loro futuro che un sistema ordinamentale deve fare in termini di ricostruzione di quel legame sociale che con la commissione di un reato, in particolare da parte di una persona giovane, si è determinato”.

“Più volte, già negli anni precedenti, ho avuto modo di sottolineare come il sistema penale minorile del nostro Paese riesca a far vivere concretamente il principio che vuole la misura privativa della libertà come misura estrema e affida ad altre forme di positivo recupero la possibilità di non giungere alla sanzione penale nonché a forme di controllo e supporto l’esecuzione di provvedimenti di tale natura laddove questi si siano resi necessari” sottolinea Palma. Stando ai numeri sono 358 i presenti negli Istituti penali minorili (di cui soltanto 163 al di sotto dei diciotto anni), 3001 i minori in ‘messa alla prova’ e 784 quelli impiegati in varie modalità alternative. “Qualche segnale non rassicurante si è registrato recentemente e riguarda la tendenza, soprattutto in alcune aree territoriali – spesso a Nord – alla crescita del numero di minorenni autori di reati compiuti collettivamente e la cui rilevanza richiede misure restrittive - dice il Garante -. Un incremento che, data la capienza di posti disponibili, rischia di determinare spostamenti verso Istituti geograficamente distanti, a detrimento dei rapporti familiari e affettivi e della connessione territoriale funzionale al ritorno”.

Suicidi e autolesionismo

Il Garante ha poi affrontato il disagio molto presente nel sistema di detenzione adulta: i gesti autolesionistici e soprattutto i suicidi: 29 a oggi a cui si aggiungono 17 decessi per cause da accertare. “Gli autori di tali definitivi gesti sono un monito - dice Palma - ci interrogano non per attribuire colpe, ma per la doverosa riflessione su cosa apprendere per il futuro da queste imperscrutabili decisioni soggettive, cosa imparare per diminuire il rischio del loro ripetersi. Come leggere l’intrinseca fragilità che ci comunicano”.

Il Garante nazionale ha poi parlato “dell’affollamento delle strutture, della inaccettabilità di molte di esse sia per chi vi è ristretto, sia per chi vi lavora ogni giorno, della loro inadeguatezza sul piano spaziale per una esecuzione penale costituzionalmente orientata”. Sono 54786 le persone registrate (a cui corrispondono 53793 persone effettivamente presenti) e 38.897 che sono in esecuzione penale. “Ben 1319 sono in carcere per esecuzione di una sentenza di condanna a meno di un anno e altre 2473 per una condanna da uno a due anni - spiega il Garante -. Superfluo è chiedersi quale possa essere stato il reato commesso che il giudice ha ritenuto meritevole di una pena detentiva di durata così contenuta; importante è piuttosto riscontrare che la sua esecuzione in carcere, pur in un ordinamento quale il nostro che prevede forme alternative per le pene brevi e medie, è sintomo di una minorità sociale che si riflette anche nell’assenza di strumenti di comprensione di tali possibilità, di un sostegno legale effettivo, di una rete di supporto. Una presenza, questa, che parla di povertà in senso ampio e di altre assenze e che finisce col rendere meramente enunciativa la finalità costituzionale delle pene espressa in quella tendenza al reinserimento sociale: perché la complessa ‘macchina’ della detenzione richiede tempi per conoscere la persona, per capirne i bisogni e per elaborare un programma di percorso rieducativo. Al di là della volontà del Costituente e delle indicazioni dell’ordinamento penitenziario queste detenzioni si concretizzano soltanto in tempo vitale sottratto alla normalità – interruzioni di vita destinate probabilmente a ripetersi in una inaccettabile sequenzialità”. 

La situazione delle Rems

Durante la relazione Palma si è poi detto “consapevole dell’incompiutezza del percorso normativo e attuativo avviato con la legge” che ha previsto le Residenze per le misure di sicurezza” di natura psichiatrica, “su cui spesso si concentra l’attenzione dell’informazione, perché ciò determinerebbe il rischio di strutture territoriali che avrebbero un carattere manicomiale in quanto contenitori di situazioni soggettive del tutto dissimili dal punto di vista giuridico e medico. Un percorso segnato innanzitutto dall’errore concettuale di chi le configura come mere strutture di sostituzione dei dismessi Ospedali psichiatrici giudiziari e non come misura estrema all’interno di un progetto complessivo di presa incarico della persona autore di reato e dichiarata non penalmente responsabile. La recente sentenza che ha previsto per un autore di duplice omicidio l’internamento in Rems per trenta anni non può trovare alcuna giustificazione dal punto di vista sanitario perché nessun intervento di cura e recupero può essere attuato in tali termini e sembra richiamare soltanto la logica prognostica della pericolosità sociale”.

Secondo Palma va ridefinita la loro presenza nel territorio, insufficiente in alcune specifiche aree, e valutato l’eccesso di ricorso a tale misura, anche in via provvisoria e per fatti reato di minore entità. “Mi sono soffermato sull’aspetto del disagio psichico perché questo è tema fortemente avvertito da chi quotidianamente lavora in carcere e perché è direttamente lesivo del bene della salute delle persone coinvolte, siano esse adulte o minori. Per questi ultimi troppo spesso la ricerca di una comunità dove tale disagio possa essere affrontato si scontra con la tendenza delle comunità stesse a selezionare i casi che meno costituiscano un problema. Per questo il Garante nazionale chiede che l’impegno a ospitare e in ragionevoli tempi i casi che richiedono attenzione diversa da quella che il carcere può offrire sia sottolineato nella fase di definizione della convenzione con le strutture interessate. La ragionevolezza dei tempi, delle attese riporta alla chiave di lettura di questa Relazione: il carcere si presenta spesso come luogo delle attese: ridurle è una scommessa importante”. 

Gli hotspot e i Cpr

Palma ha poi parlato della privazione della libertà delle persone migranti irregolarmente presenti nel territorio italiano e dei voli di rimpatrio. “L’analisi dell’ultimo anno non si discosta da quella degli anni precedenti in termini di numeri relativi. Nel senso che, pur a fronte di 44292 persone registrate negli hotspot nel corso del 2021 (e tra esse 8934 minori), le persone rimpatriate sono state 3420, anche in ragione della minore possibilità nello scorso anno di organizzare voli di rimpatrio. Altre 6153 persone sono state respinte alla frontiera. Il dato delle registrazioni in hotspot è così tornato simile a quello del 2017, ma con una prevalenza di presenze a Lampedusa pari a quattro volte quella raggiunta in quell’anno. Anche la composizione è stata simile al passato: la prevalenza è di persone tunisine – circa un terzo del totale – seguite da quelle egiziane” spiega il Garante, ricordando anche la novità recente delle ‘navi quarantena’ che fino al 31 maggio scorso hanno ospitato 35304 persone per una media di undici giorni. Il Garante nazionale, anche a seguito di una visita su una delle imbarcazioni utilizzate e del controllo delle procedure in atto, ha riconosciuto che le condizioni logistiche predisposte erano certamente migliori di quelle che le persone avrebbero potuto avere qualora accolte nei sovraffollati hotspot. Ha anche però sin dall’inizio chiarito che le persone a bordo ricevevano le cure necessarie e seguivano una procedura protettiva rispetto al contagio, ma non ricevevano una esauriente informazione circa i propri diritti né tale funzione poteva essere affidata al personale della Croce Rossa che era l’unico personale a bordo diverso dalle Autorità di gestione della nave. Inoltre, nella relazione si sottolinea che non è cambiata la percentuale dei rimpatri relativamente alla permanenza nei ‘Centri per il rimpatrio’ (Cpr). 

Attualmente nei 10 Centri, con una complessiva capienza di 711 posti, si è mantenuta attorno al 49 per cento delle persone che vi sono state ristrette, in media per trentasei giorni. E apre la questione della legittimità di tale trattenimento quando sia già a priori chiaro che il rimpatrio verso quel determinato Paese non sarà possibile. 

“Ai Centri sono stati recentemente aggiunti le cosiddette ‘strutture idonee’ dove le persone da rimpatriare possono essere trattenute in assenza di una facile disponibilità dei Centri: di essi finalmente si ha una mappa, le caratteristiche essenziali, lo stato di avanzamento di quelli in allestimento e la situazione di quelli già funzionanti” sottolinea. Il Garante nazionale ha recentemente iniziato a visitare tali locali, messi a disposizione dalle Questure, e presenterà uno specifico Rapporto su di esse entro la fine del proprio mandato.

Il tema migratorio, secondo Palma “continua a essere affrontato, nei suoi miglioramenti e nelle persistenti problematicità, in termini emergenziali e non strutturali: quasi fosse ancora un problema nuovo, rispetto al quale deve essere sviluppata una politica solida e non congiunturale, a livello italiano ed europeo. L’attuale modalità, fatta di hotspot, di Cpr, di tentativi di rimpatrio, di numeri asimmetrici tra gli arrivi, i rimpatri e i positivi inserimenti nella collettività, fatta soprattutto di molta inutile sofferenza e grande dispendio di mezzi, persone e denaro non ha le caratteristiche di una effettiva ‘politica’ adottata di fronte a un tema che non diminuirà nei prossimi anni e che anzi – come da più parti è già previsto – aumenterà in dimensione anche in considerazione dei molti conflitti armati in varie regioni del pianeta e, in particolare, dell’ultimo ancor più prossimo a noi. Il Garante nazionale auspica che si avvii una nuova fase di riflessione che, partendo dalla connotazione strutturale delle migrazioni ricerchi quelle soluzioni di sistema che contemplino la possibilità di accesso regolare nel nostro Paese, forme di accoglienza volte a facilitare un inserimento graduale, diffuso e sicuro nei diversi territori, verso cui indirizzare gli investimenti nel settore”.

Per il Garante l’accoglienza non può limitarsi a una fase di soccorso, ma deve avere una linea progettuale di percorsi di inserimento e di riconoscimento del loro compiersi. Per questo il Garante nazionale auspica che sia quanto prima riconosciuta la piena cittadinanza.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)