Camminare di nuovo. Una nuova ricerca sul trattamento dei danni spinali e recupero del movimento degli arti
Il nuovo approccio permette la personalizzazione del trattamento per ogni singolo paziente, calibrandolo su specifiche radici dorsali.
Da tempo gli studiosi sono alla ricerca di soluzioni efficaci per ripristinare la capacità di movimento in soggetti che l’hanno persa a causa di un danno al midollo spinale, rimanendo quindi paralizzati. Tra i metodi finora più utilizzati spicca la stimolazione elettrica del midollo stesso, metodica che, se combinata con la terapia fisica, in alcuni casi, è stata persino in grado di restituire a pazienti con paralisi completa la capacità di camminare di nuovo. Purtroppo, però, si tratta di pochi casi e, per lo più, con risultati limitati (capacità di effettuare piccoli passi, ma non di compiere movimenti più complessi). La ricerca, quindi, va avanti nel tentativo di acquisire nuove soluzioni più efficaci e maggiormente fruibili per la maggior parte dei pazienti interessati.
Ne è esempio un recente studio (pubblicato su “Nature Medicine”), condotto da un gruppo di scienziati coordinati da Andreas Rowald, del Center for Neuroprosthetics and Brain Mind Institute, School of Life Sciences, Swiss Federal Institute of Technology di Losanna, Svizzera). Insieme hanno progettato un nuovo tipo di sistema di elettrodi che, applicati a determinate aree del midollo spinale, è stato in grado di ripristinare le capacità di movimento in tre pazienti affetti da paralisi completa dei muscoli delle gambe e del tronco. Peraltro, gli effetti positivi sono stati osservati dopo un solo giorno di trattamento, perdurando nei giorni e nei mesi successivi. In verità, già da tempo si era tentato di applicare differenti tecnologie di stimolazione midollare, sviluppate nel corso degli anni anzitutto per il trattamento del dolore e poi riproposte per ripristinare il movimento. Mai però (se non casualmente) queste tecnologie erano riuscite a stimolare nel midollo spinale i nervi specifici che controllano il movimento delle gambe e del tronco. Al contrario, il nuovo approccio messo in atto da Rowald e colleghi permette la personalizzazione del trattamento per ogni singolo paziente, calibrandolo su specifiche radici dorsali. “Questa – afferma Grégoire Courtine, coautore senior del nuovo studio -, fino a oggi, è la stimolazione del midollo spinale più precisa ed è associata al recupero del movimento in persone con lesioni complete del midollo spinale”.
Concretamente, il nuovo dispositivo viene applicato alle radici nervose dorsali del segmento lombosacrale, un fascio di fibre nervose che forniscono informazioni sensoriali alla spina dorsale. Ma con un effetto positivo “a cascata”: questo input sensoriale, infatti, innesca altri nervi responsabili del movimento del tronco e degli arti. “Le schiere di elettrodi per il dolore – spiega Jocelyne Bloch, neurochirurga all’ospedale universitario di Losanna e co-autrice senior dell’articolo – sono più corte e strette, non erano state progettate per prendere di mira in modo specifico ogni singola radice nervosa così da attivare in modo preciso e specifico i muscoli del tronco e delle gambe”.
Va precisato che – come spiega Courtine -, anche se gli effetti del trattamento con il dispositivo sono immediati, nella fase iniziale i pazienti hanno avuto bisogno dell’ausilio di un ulteriore supporto (due barre parallele, a terra o su un tapis roulant) al loro peso corporeo. Dopo uno o tre giorni in più, tuttavia, sono stati effettivamente in grado di camminare, sempre con l’aiuto di un supporto. E dopo alcuni mesi sono migliorati anche nell’esecuzione di altre attività motorie, tra cui andare in bicicletta, fare canoa e persino stare in piedi a bere qualcosa in un bar.
A parere degli stessi ricercatori, le ragioni dell’efficacia di questo innovativo trattamento risiedono nel fatto che, ad un incidente, può sopravvivere solo un piccolo numero di fibre nervose che, non ricevendo più alcuna stimolazione dai nervi oltre il sito della lesione, finiscono per diventare dormienti. È sufficiente che la stimolazione spinale raggiunga queste poche fibre nervose per riportarle in attività.
Rimane però un punto da verificare ulteriormente: i miglioramenti a lungo termine si sono verificati solo mentre i pazienti avevano il loro dispositivo di stimolazione acceso. Le persone con paralisi completa, dunque, con ogni probabilità avranno bisogno di un impianto spinale permanente affinché il trattamento funzioni, permettendo di recuperare un certo grado di mobilità.