Brexit: agricoltura in bilico
Il settore rischia di essere fra i più colpiti dalla mancanza di un accordo
Il pasticcio della Brexit fa paura anche agli agricoltori. Questione di regole concordate che non ci sono ancora. E quindi rischio, sempre più forte, di un mercato-giungla che non farebbe bene a nessuno.
A ben vedere, in effetti, l’assenza di un accordo, e quindi di norme condivise fra il Regno Unito e l’Europa, comporta non una totale anarchia ma il ritorno all’applicazione degli accordi Wto relativi al commercio internazionale. Una sorta di marcia indietro nei rapporti commerciali europei e, soprattutto, l’applicazione di un apparato di norme ormai lontano da quelle con il tempo fissate e applicate all’interno di un mercato unico come quello dell’Ue. Senza contare, fra l’altro, le tutele sanitarie in vigore ormai da tempo sempre all’interno del mercato unico.
Una situazione, quella che si profila dopo il no all’accordo raggiunto fra Governo inglese e Ue, che spaventa tutti. In gioco, per l’Italia, esportazioni che ormai valgono la bella cifra di 3,4 miliardi di euro. Una tesoro che ha al suo interno alcune gemme come il Prosecco. Con quasi una bottiglia esportata su due consumata dagli inglesi – ha fatto per esempio notare la Coldiretti -, è questo il prodotto simbolo che rischia di essere pesantemente colpito dalle barriere tariffare e dalle difficoltà di sdoganamento che potrebbero nascere da una Brexit senza accordo. Nuovi dazi, barriere doganali dimenticate, confusione nelle prospettive, hanno addirittura fatto aumentare gli ordini attuali. Tutto per preservare un patrimonio di vendite che arriva a sfiorare i 350 milioni di euro.
Dal punto di vista geografico, ha fatto invece notare la Cia Agricoltori Italiani, un mancato accordo sulla Brexit avrebbe conseguenze preoccupanti soprattutto su alcune regioni particolarmente coinvolte, come la Campania (dove le esportazioni alimentari verso il Regno Unito pesano per il 12,5% sulla formazione del valore aggiunto agroalimentare), ma anche il Veneto e il Piemonte (dove tale incidenza vale rispettivamente l’11% e il 7,4%).
C’è poi dell’altro. La mancanza di un accordo è lo scenario peggiore non solo per il rallentamento dell’interscambio, ma anche perché potrebbe aprire le porte ad una legislazione sfavorevole all’esportazioni agroalimentari italiane. Un esempio in questo senso è l’etichetta nutrizionale a semaforo sugli alimenti che si sta diffondendo in gran parte dei supermercati inglesi e che – riferisce la Coldiretti – boccia ingiustamente quasi l’85% del Made in Italy a denominazione di origine (Dop). Un meccanismo perverso, quello dell’etichetta a semaforo: con i bollini rosso, giallo o verde indica il contenuto di nutrienti critici per la salute come grassi, sali e zuccheri, ma non si basa sulle quantità effettivamente consumate, bensì solo sulla generica presenza di un certo tipo di sostanze, portando a conclusioni fuorvianti.
“Ci dobbiamo preparare – ha fatto notare Confagricoltura -, al peggior scenario possibile”. Attenzione ai massimi livelli, dunque, da parte di tutti. Ed ha certamente ragione Coldiretti nel sottolineare: “A pagare il conto della Brexit non deve essere l’agricoltura che è un settore chiave per vincere le nuove sfide che l’Unione deve affrontare, dai cambiamenti climatici all’immigrazione alla sicurezza”. E’ un orizzonte delicato quindi quello che si è profilato e che potrebbe inficiare anche il nuovo buon risultato conseguito dall’agroalimentare nazionale con esportazioni che hanno raggiunto i 42 miliardi di euro.
Andrea Zaghi