Ancor più dimenticate. La distanza umana tra carceri e città
Il carcere mette alla prova una città nella sua capacità di condividere fatiche e sofferenze, di distinguere l’errore dall’errante.
Nelle carceri italiane nel 2021 ci sono stati 57 suicidi e sono 21 quelli registrati nei primi mesi 2022. L’associazione Antigone nei giorni scorsi ha presentato questi dati nel suo XVIII rapporto redatto dopo cento visite in diversi penitenziari del nostro Paese. “Importante notare – osserva Antigone – come l’Italia sia tra i Paesi europei quello con il più alto tasso di suicidi nella popolazione detenuta mentre è tra i Paesi con i tassi di suicidio più bassi nella popolazione libera”.
C’è un altro dato che colpisce: al 31 marzo 2022 erano 19 i bambini di età inferiore ai tre anni che vivevano insieme alle loro 16 mamme dentro un istituto penitenziario. Riferendosi a una frase che recita “La storia di una società è scritta sui muri delle prigioni” così commenta Luigi Manconi, attento conoscitore e sensibile portavoce di questa realtà: “Se sulle pareti di una cella oltre alle tracce di un odio o di una passione dovremo ancora trovare disegni di mani infantili è indubbio che quella delle prigioni continuerà a essere una storia di persistente barbarie”.
A preoccupare e a chiedere attenzione ci sono numerosi altri dati nel rapporto di Antigone: sono 54.609 i detenuti a fine marzo 2022, il tasso di affollamento medio è del 107% mentre in Lombardia sale al 129,9% e in Puglia al 134,5%. Il 25% delle carceri hanno celle più piccole di tre metri quadri per ogni persona.
Oltre i numeri e le percentuali l’associazione torna a denunciare la non adeguata gestione degli istituti penitenziari. La frammentarietà del lavoro interno ed esterno e le non facili iniziative per il reinserimento sociale motivano il boom dei ritorni in cella che è documentato dal 38% di persone alla prima detenzione. In cima alle urgenze Antigone segnala il ripensamento dell’intero sistema delle pene e richiama la responsabilità del legislatore.
I riflettori dei media si accendono quando l’esasperazione scoppia come nel caso della pandemia. Ciò che accade viene compresso nella cronaca nera e non scuote più di tanto un’opinione pubblica inquieta e spaventata.
E così i già dimenticati diventano ancor più dimenticati.
Ogni città ha il suo carcere, vorrebbe scrollarselo di dosso, vorrebbe toglierlo dal “curriculum vitae”, vorrebbe lasciarlo tutto ed esclusivamente ai competenti organismi nazionali.
Ma c’è qualcosa che la riguarda direttamente, il carcere mette alla prova una città nella sua capacità di condividere fatiche e sofferenze, di distinguere l’errore dall’errante.
Una città è bella non solo per le piazze, i palazzi, i giardini e la gente che passeggia ma anche per lo sguardo di umanità che rivolge al carcere e a quella cintura di affetti familiari e amicali che lo circonda.