Alla ricerca della strada perduta. La famiglia narrata oggi

Il ritorno della famiglia è forse l’elemento fondante del nuovo orizzonte letterario e non solo in Italia

Alla ricerca della strada perduta. La famiglia narrata oggi

Il ritorno della famiglia è forse l’elemento fondante del nuovo orizzonte letterario e non solo in Italia. Il premio Strega 2023 ne è stata la prova provata: quasi tutti, o forse tutti, visto che il romanzo su Saint-Exupéry di Romana Petri (in realtà Romana Pezzetta) ha come nodo scatenante la figura materna, hanno al loro centro narrativo storie familiari, fatte anche di addii dovuti alla guerra, come nel caso di “Mi limitavo ad amare te” di Rosella Pastorino o a decisioni estreme di un padre e una madre che decidono di farla finita in “Dove non mi hai portata” di Maria Grazia Calandrone. O di figli che tentano di trovare il perché della drammatica depressione paterna che dominerà per anni come uno spettro la storia della famiglia dell’autore, portandolo alla ricerca delle radici nella Torino originaria, come narra Andrea Carnobbio in “La traversata notturna”.
Un po’ come accade in un altro recente romanzo, “Nella luce dell’inizio” (San Paolo) del sacerdote Massimo Camisasca. Qui la ricerca avviene in presenza: Marco ed Enrico, figlio e padre, si rincorrono nelle tenebre di ricordi paterni del lager e di una malinconia che ha impedito il fluire degli affetti, ammesso e non concesso che gli affetti familiari conoscano sempre quel fluire limpido e senza ombre più utopico che reale.
L’assenza della figura materna è uno degli elementi scatenanti delle ricorrenti crisi, come leggiamo anche nel romanzo di un altro sacerdote, Marco Pozza, parroco nel carcere Due Palazzi di Padova, anch’esso edito dalla San Paolo “Alla fine è sempre all’improvviso”. Qui la crudezza della vita di gente toccata dalla nemesi della violenza -e della figura materna- è tutt’uno con quella del linguaggio, mai fine a se stesso, ma semplicemente comunicazione del mondo della violenza giovanile, del carcere, di un paesino del Friuli un tempo luogo di riposo temporaneo dal fronte della grande guerra e dove Ungaretti scrisse il celebre “M’illumino d’immenso” di “Mattina”, la poesia che ha praticamente aperto la strada dell’ermetismo, nel 1917. E guarda caso Ungaretti -a dimostrazione della forza catartica della poesia- ritorna anche in “Nella luce dell’inizio”.
Soprattutto la storia, o meglio le storie, di Pozza da sole manifestano la realtà celata da un certo moralismo: la fede e la famiglia come percorsi in progressione, amore che illumina, strada spianata. Qui si narrano storie di brutalità, di omicidio e ricerca della redenzione nel buio e nella tempesta del non senso. Solo che è proprio nel cuore della notte e della disperazione che quel senso arriva. E salva, attraverso percorsi mai definitivi che si incrociano nella certezza che anche e soprattutto la pecora smarrita può indicare il sentiero perduto.
Come accade nella nuova, stranissima famiglia di “Le cure domestiche” di Marilynne Robinson, una delle grandi scrittrici americane d’oggi (Einaudi), in cui è una vagabonda a prendere, senza averlo mai chiesto, il timone di una famiglia altrimenti distrutta dal suicidio della madre.
Le famiglie narrate non sono quasi mai quelle tutte sorrisi e ammiccamenti di certe saghe televisive, al massimo con qualche scappatella laterale, ma quelle di bambine che tentano la loro strada nel caos della Dublino dei Sessanta -gli anni dei Beatles, ma anche della contestazione- come Tatty di “Un’infanzia dublinese” (PaginaUno) di Christine Dwyer Hickey, considerata una delle più importanti opere irlandesi del nuovo millennio, alle prese con i movimenti tellurici, fatti anche di eccessive bevute, di una famiglia in un periodo di cambiamenti, di crisi, di domande irrequiete.
Non da ora, ma da sempre, la famiglia è stata il termometro di una narrazione profonda, che ha raccontato non solo baci e allegria, ma sprofondamenti nel sottosuolo della depressione e della violenza. Alla ricerca della Strada.

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Fonte: Sir