A Milano è iniziata la fase 2, anche della fame: associazioni sommerse di richieste
Si moltiplicano le iniziative di solidarietà, ma non bastano mai. Dalle Brigate di solidarietà al ristorante Ruben, dalle ceste sospese al bistrot Rob de matt: “Fino a quando potrà durare?”
Ufficialmente sono 4.500 le famiglie che ricevono aiuti alimentari dal Comune di Milano attraverso i 10 hub creati nei Municipi, con la collaborazione di Ricetta Qu-Bì della Fondazione Cariplo, di associazioni ed enti del terzo settore. Ad altre 13.754 stanno per essere consegnati i buoni spesa (ma le domande erano state oltre 30mila). Gli effetti sociali del Covid-19 a Milano sono però più pesanti. Ci sono poi le mense per i poveri e le unità di strada per i senza dimora. Ma ogni associazione o realtà che sta cercando di aiutare le persone in difficoltà è sommerso dalle richieste. Ai numeri di telefono delle “Brigate di Solidarietà”, attive in ogni municipio e nate per iniziative dei centri sociali, arrivano ogni giorno circa 400 telefonate. “Ci chiamano un po' tutti, ma soprattutto stranieri, genitori single, chi lavorava in nero -racconta una volontaria della Brigata Lena Modotti (ogni Brigata ha adottato il nome di una partigiana o di un partigiano)-. La nostra impressione è che la situazione stia peggiorando, che ci siano sempre più persone che hanno bisogno di un aiuto alimentare. Abbiamo anche iniziato a fare una mappatura delle persone in difficoltà, così da raggiungere anche chi non chiama”.
Al ristorante Ruben, dove gli adulti possono cenare con 1 euro e i figli gratis, il flusso di persone non è mai cessato, nonostante il lockdown. Ovviamente non ci si può più sedere ai tavoli, la mensa fornisce solo piatti da asporto. Ruben è un ristorante solidale, nato nel 2014 da Ernesto Pellegrini, ex presidente dell'Inter e fondatore del Gruppo Pellegrini leader della ristorazione aziendale, per aiutare quella fascia di popolazione in difficoltà che però non andava alle classiche mense per i poveri. Al ristorante Ruben si arriva su segnalazione degli enti convenzionati (oltre 100), che già seguono queste famiglie, come i centri di ascolto della Caritas oppure i servizi sociali del Comune. “In queste settimane sono arrivate nuove persone, che mai avevano immaginato di finire in povertà -spiega Cristian Uccellatore, responsabile del progetto-. Piccoli artigiani, negozianti, lavoratori che avevano contratti di collaborazione. Il Covid-19 è stato un colpo durissimo anche per chi seguivamo da anni, perché magari avevano ricominciato a lavorare o stavano per vedere uno spiraglio di luce. Ora sono ripiombati nel buio”.
Per ora e per fortuna la solidarietà non sta mancando. “Facciamo raccolte di alimenti fuori dai supermercati -racconta la volontaria della Brigata Lena-Modotti-. E c'è sempre tanta gente che dona. Sono nate poi collette alimentari in 70 condomini. Ci chiediamo, però, fino a quando potrà durare. Notiamo, per esempio, che verso la fine del mese gli aiuti diminuiscono e riprendono ad inizio mese quando le persone ricevono lo stipendio”. Il 3 aprile scorso, una ventina di donne del quartiere Dergano-Bovisa di Milano ha dato vita all'iniziativa delle #CesteSospese per offrire un aiuto materiale a chi è rimasto senza lavoro a causa dell'emergenza sanitaria. Le Ceste Sospese (appese ai balconi oppure ai portoni) sono esposte con il cartello “chi può metta, chi non può prenda” in otto lingue (italiano, inglese, francese, tedesco, arabo, cinese, filippino, romeno). Nei primi giorni le ceste erano 15, adesso sono 60, non più solo a Dergano, ma anche in altri quartieri della città. “È un modo bello per esserci, per dare ciascuno il proprio contributo a chi è in difficoltà e per questo le ceste si sono moltiplicate -racconta Francesca Rendano, una delle ideatrici dell'iniziativa-. Oggi sono un aiuto quotidiano per anziani, famiglie numerose, qualche senza dimora. In alcuni casi abbiamo conosciuto chi aveva bisogno di prendere dalla cesta ed è stato indirizzato ai servizi del Comune”.
A Dergano un'altra iniziativa molto interessante è quella di Rob de Matt, caffé bistrot che alla buona cucina ha sempre unito l'attenzione al sociale, così da coinvolgere nello staff giovani con disagio psichico. Con l'emergenza Covid-19 ha ovviamente chiuso i battenti. Messe in cassa integrazione le 25 persone che ci lavoravano, ha però riaperto la cucina per sfornare ogni giorni circa 200 pasti che vengono poi distribuiti dalla Croce Rossa per i senza dimora. Intorno a Rob de Matt si è creato un gruppo di una sessantina di volontari. C'è chi dona alimenti per la cucina, chi trasporta i pacchi nelle case delle famiglie più bisognose (circa 300), chi prepara o confeziona i pasti. Fuori dai cancelli del cortile di Rob de Matt è stata posizionata anche una cesta sospesa, dove finora sono stati messi oltre mille chili di cibo. “Nulla sarà più come prima anche per la nostra attività -racconta Franz Purpura, educatore che insieme allo chef Edoardo Todeschini ha ideato Rob de matt-. E non escludo che nei prossimi mesi, attraverso bandi o altre forme di sostegno, il lavoro di Rob de matt possa in parte cambiare ed essere dedicato all'aiuto di chi non ha da mangiare. Per ora è tutto basato sul volontariato, ma non è detto che si possa andare avanti così per lungo tempo. Noi possiamo mettere a disposizione le nostre competenze professionali, sia in cucina che sul piano educativo”.
Dario Paladini