Welfare aziendale, poco conosciuto e poco utilizzato dai lavoratori
Indagine Nomisma su un campione di quasi 2mila lavoratori: oltre la metà lo conosce poco o per niente. Sono soprattutto donne e famiglie con figli ad utilizzare di più i servizi . Cgil: "Va ripensato complessivamente"
Milano - Il welfare aziendale è poco conosciuto e poco utilizzato dai lavoratori. Anche da quelli che sono dipendenti di aziende in cui vengono offerti servizi per l'assistenza sanitaria oppure di previdenza assicurativa o per sostenere le spese di educazione e istruzione dei figli o facilitazioni nell'accesso a mutui e prestiti. Su un campione di 1.822 lavoratori di 70 aziende, intervistati da Nomisma per conto di Cgil, risulta che il 45% afferma di essere stato informato soltanto a grandi linee e il 9% per nulla rispetto alle iniziative definite negli accordi aziendali volte a incrementare il benessere del lavoratore e della sua famiglia. Inoltre, solo il 55% dei lavoratori coinvolti fruisce dei servizi di Welfare, anche se il 70% li valuta positivamente. I dati sono stati presentati oggi a Milano durante il convegno “Il Welfare Aziendale visto dai lavoratori” alla Fondazione Stelline.
“Lo studio ha messo in evidenza come il welfare aziendale, pur essendo un potente strumento per migliorare il benessere dei lavoratori, non stia ancora esprimendo appieno le proprie potenzialità - afferma Luigi Scarola, responsabile Sviluppo territoriale e welfare Nomisma-. È emersa in maniera netta l’esistenza di un conflitto tra ciò di cui avrebbero bisogno i lavoratori e la capacità dello strumento di soddisfarli. È necessario innanzitutto che i Piani di welfare siano costruiti partendo dalle reali esigenze e che vi sia una valutazione seria degli impatti in azienda".
Nel campione di lavoratori intervistati il 49% è composto da impiegati, il 45% da operai e il 6% da quadri. Ad essere meno informati rispetto ai servizi offerti risultano essere gli operai. Il 28% di essi dichiara di conoscere poco o nulla riguardo al tema welfare aziendale, contro il 20% degli impiegati e l’8% dei quadri. Allo stesso modo sale al 12% la quota di operai che ritiene che i lavoratori in azienda non siano stati adeguatamente formati sulle tematiche di welfare. Ad usare maggiormente i servizi di welfare sono: donne (61%) e famiglie con figli (59%). La percentuale di uomini si attesta intorno al 52%. Dall’indagine si evince che all’aumentare della mansione lavorativa e del titolo di studio aumenta anche la fruizione dei servizi di welfare (per i quadri 66% e per chi possiede una laurea 62%).
La mancata capacità di intercettare gli attuali bisogni dei lavoratori (39%), seguita dalla scelta di ricevere al posto del servizio di welfare somme di denaro – seppur soggette a una tassazione più elevata (38%) sono i motivi che spingono maggiormente i lavoratori verso la non fruizione dei benefit.
"Il welfare contrattuale va ripensato complessivamente -commenta Roberto Ghiselli, Segretario confederale CGIL -, rideterminando gli ambiti, i contenuti, le forme di gestione e di sostegno con l’obbiettivo di qualificare i servizi erogati, favorire l’integrazione con il sistema pubblico di welfare, di estendere la platea dei lavoratori che ne possono beneficiare”.
Dario Paladini