Veni Sancte Spiritus. Piega, lo Spirito, e lava, irriga, risana, scalda, sorregge

Veni Sancte Spiritus. È il Soffio divino a riempire il cuore di Hartker, monaco sangallese dell’11° secolo, quando chiede una cella con il soffitto basso per poter trascrivere, costretto a un continuo inchino, i canti gregoriani dell’Antifonario

Veni Sancte Spiritus. Piega, lo Spirito, e lava, irriga, risana, scalda, sorregge

Lava, irriga, risana. E ancora: piega, scalda, sorreggi. Così invochiamo lo Spirito Santo, nella sequenza di Pentecoste Veni Sancte Spiritus. Un fuoco che non dissecca. Un’acqua che non toglie il respiro. Una salute che è pienezza di vita, bel rigoglio. E poi quel verbo che più di tutti dice amore: piega. Concedi a ciò che è forma perfetta di fare spazio alla
sorpresa di ogni espressione singolare. Flecte. Certamente è il Soffio divino a riempire il cuore di Hartker, monaco sangallese del secolo 11°, quando chiede una cella con il soffitto più basso del suo corpo longilineo, goticheggiante, per poter trascrivere costretto a un continuo inchino i canti gregoriani dell’Antifonario. Gliela concedono: il minuscolo rifugio che era stato di una sorella eremita, Perthorade. Hartker si rinchiude lì e comincia un lavoro che lo impegnerà per un tempo lunghissimo. Le vertebre fatte creta morbida, i muscoli obbedienti allo sforzo di rendersi degni della fortuna che è occuparsi di una materia così luminosa, così più alta del mondo. Gli esperti notano la gentilezza della sua
grafia, i tratti “fini e delicati”, anche nel momento in cui le dita cedono a qualche tremore, mano a mano che la montagna di pagine si accumula sul tavolo nudo del copista e i giorni passano. Quando esce dalla cella, Hartker è ormai opera della sua opera, felice di essersi perso nella giustizia di Dio, di aver sacrificato la propria figura gotica alla scrittura che dà voce al canto gregoriano. La miniatura della prima pagina dell’Antifonario sembra la coniugazione del verbo flectere. Il monaco è irreversibilmente piegato verso terra, inchinato davanti al suo pastore, san Gallo, e sul libro che gli offre, curvo sotto la mano benedicente del Signore, anch’essa sormontata da una croce, dove ciò che è piegato è anche lavato, irrigato, risanato, scaldato, sorretto, come raccontano, in fondo, tutte le pagine dell’opera di Hartker, i suoi tratti fini, che vorrebbero solo sparire in canto.

Anna Valerio

«Queste ferite introducono voi nel mio interno»

Sfogliando la Liturgia delle ore: «Vedete, vedete in me il vostro corpo, le vostre membra, il vostro cuore, le vostre ossa, il vostro sangue. E se temete ciò che è di Dio, perché non amate almeno ciò che è vostro? Se rifuggite dal
padrone, perché non ricorrete al congiunto? Ma forse vi copre di confusione la gravità della passione che mi avete inflitto. Non abbiate timore. Questa croce non è un pungiglione per me, ma per la morte. Questi chiodi non mi procurano tanto dolore, quanto imprimono più profondamente in me l’amore verso di voi. Queste ferite non mi fanno gemere, ma piuttosto introducono voi nel mio interno» (Pietro Crisologo).

Veni Sancte Spiritus, la “sequenza d’oro”

La sequenza Veni Sancte Spiritus, nel Medioevo, era chiamata la “sequenza d’oro”. Arricchisce la messa di Pentecoste di una poesia coraggiosamente tesa a precisare i contorni dellaPersona più ineffabile della Trinità: lo Spirito Santo, che sa cantare nel tempo la musica della salvezza.

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