Uno spirito davvero costituente
Quando si tocca la Carta non sono ammessi giochetti di corto respiro o forzature ideologiche.
Ci sono situazioni, specialmente nel campo politico, in cui porre la questione del metodo è un mero espediente per rinviare il confronto diretto con il merito dei problemi. Ma ce ne sono altre in cui, invece, la questione del metodo è decisiva e condiziona in modo ineludibile l’esito e il senso stesso del percorso. Il tema delle riforme istituzionali si colloca su questo secondo versante, soprattutto se con tali riforme si intendono modificare (o comunque porre in discussione) aspetti di assoluta rilevanza del nostro sistema democratico, fino a ipotizzare una modifica della forma di governo. Evocare la necessità di ritrovare uno “spirito costituente”, come ha fatto recentemente il cardinale Zuppi, non è quindi una scorciatoia retorica, quanto piuttosto una scelta ben precisa di coerenza con l’identità profonda della Carta su cui da 75 anni si fonda la nostra comunità nazionale. Se si vuole mettere mano alla modifica di alcune parti della Costituzione – operazione che può essere utile e in certi casi persino doverosa, ma sempre di estrema delicatezza – il metodo non può che essere quello sperimentato dai “padri” della Repubblica.
A leggere i resoconti dell’Assemblea costituente, nelle diverse commissioni e nella plenaria, emerge un quadro di fortissima dialettica tra i gruppi e anche tra i singoli membri. Certo, il lessico non è quello sovente scomposto e sguaiato dei nostri tempi, ma il confronto è diretto e schietto. Eppure, anche quando i toni si fanno più aspri, non viene mai meno la consapevolezza dell’impegno epocale di costruire l’architettura dell’Italia libera e democratica dopo la tragedia della dittatura e della guerra. Il 22 dicembre 1947, nella seduta del voto finale sul testo della Carta, il presidente del comitato di redazione, Meuccio Ruini, così descrisse il lavoro dell’organismo da lui guidato: “I suoi membri si sono divisi ed hanno combattuto fra loro; ma dopo tutto vi è stato, e si rivela oggi, uno spirito comune, uno sforzo di unità sostanziale”. Nulla di irenico, quindi, ma la convinzione di dover costruire insieme “qualche cosa di saldo e di durevole, mentre viviamo in piena crisi politica, economica, sociale”. Gli fece eco Alcide De Gasperi, prendendo la parola come presidente del Consiglio: “Non fu senza un certo senso di invidia che noi vedemmo i nostri colleghi delle Commissioni legislative occuparsi dei grandi problemi della Costituzione, gettando le grandi arcate della Costituzione, mentre noi, dalle esigenze di tutti i giorni, eravamo costretti ad occuparci dei piccoli particolari…”.
Oggi non si tratta di scrivere una Costituzione nuova ma si discute di alcuni aggiornamenti più o meno ampi. Tuttavia lo spirito può e deve essere lo stesso, distinguendo il piano dell’ordinaria dialettica tra maggioranza e opposizione da quello delle regole della casa comune. Quando si tocca la Carta non sono ammessi giochetti di corto respiro o forzature ideologiche. E sarebbe bene, senza con questo voler cristallizzare tutto, attenersi al principio di precauzione.