Tumore al seno. Il primario della Breast Unit del San Giovanni di Roma: “Abbiamo voluto creare una sorta di ‘casa’ per le nostre pazienti”
Un’eccellenza della regione Lazio per le donne con tumore al seno, riconosciuta e certificata anche a livello internazionale. È la breast unit dell'ospedale romano San Giovanni. Intervista con il direttore Lucio Fortunato: “Qui una donna con cancro della mammella trova sempre la porta aperta”. Garantita la presa in carico globale per almeno cinque anni. Fra trattamenti innovativi come farmaci biologici e immunoterapia, terapie "integrate" e percentuali di guarigione sempre più alte, la parola chiave è "speranza"
Un’eccellenza della Regione Lazio per le donne con tumore al seno, riconosciuta e certificata anche a livello internazionale. Si tratta dell’Unità operativa complessa (Uoc) di Senologia dell’Azienda ospedaliera (Ao) San Giovanni Addolorata di Roma. In occasione della Giornata mondiale contro il cancro che ricorre oggi 4 febbraio, abbiamo incontrato il direttore della Breast Unit, Lucio Fortunato, da 30 anni in prima linea contro il carcinoma della mammella.
Dal 2017 al 2024, per otto anni consecutivi, il Centro di senologia che lei dirige ha ricevuto la Breast Centers Certification (Certificazione europea di qualità). Dottor Fortunato, qual è il valore di questo riconoscimento e come l’avete ottenuto?
Oltre a far parte della rete italiana dei Centri di senologia, creata nel 2014 e invidiata in tutta Europa e in buona parte del mondo, dal 2017 la nostra Breast Unit ha intrapreso una strada parallela, molto complessa, di ulteriore certificazione a livello europeo. Ogni anno una Commissione internazionale, a seguito di una visita di controllo in loco per un paio di giorni, verifica il raggiungimento dei parametri indicatori di qualità stabiliti da Eusoma (European Society of Mastology), la Società europea di senologia. Un processo certificativo importante perché si traduce per noi in
un costante monitoraggio della qualità delle prestazioni sanitarie e dei trattamenti erogati alle pazienti,
e ci consente inoltre di individuare e correggere eventuali nostri deficit per raggiungere e mantenere elevati standard organizzativi, diagnostici e terapeutici, e per rimanere sul palcoscenico europeo delle Breast Unit d’eccellenza. Non sono molti i Centri che hanno ottenuto questo riconoscimento. Di questi, una trentina sono in Italia, la maggior parte situati al Nord, 4 al Centro-Sud di cui uno a Roma: la nostra Breast Unit, prima e unica nel Lazio.
Nel 2024, quante sono state le donne trattate chirurgicamente per carcinoma presso il suo Centro?
Ne abbiamo operato 609, che seguiremo per 5 anni secondo un processo convalidato all’interno del nostro percorso diagnostico-terapeutico.
Con la nostra Breast Unit abbiamo voluto creare una sorta di “Casa per le donne con tumore della mammella”.
Se una donna con questa neoplasia viene al San Giovanni, come anche in altri centri, trova sempre la porta aperta, uno spazio dedicato e una persona che la può ascoltare per capire da dove bisogni iniziare; già questo è metà dell’opera. Ogni caso viene obbligatoriamente discusso in conferenza multidisciplinare, prima e dopo l’intervento chirurgico, con raccomandazioni scritte e formali di trattamento. Ad ogni paziente garantiamo un percorso di almeno 5 anni, prenotando direttamente dal nostro Centro visite e controlli mammografici ed ecografici successivi, con grande risparmio per loro di tempo ed energie.
Siamo una vera e propria Task force contro il cancro al seno
E’ un po’ complesso, ma è il nuovo modo di fare medicina.
Presso il Centro che lei dirige vengono organizzate attività di teatro, canto, ballo, ginnastica, il progetto Mindfulness e il progetto “Balla con me”. Quanto è importante aiutare una donna a stare bene, anche psicologicamente, attraverso le cosiddette terapie “integrate”?
È importante quasi quanto le cure. Noi siamo medici, lavoriamo per sconfiggere il cancro ma, detto questo, le terapie integrate sono una parte integrante del percorso di cura, e non perché siamo “buoni”. In Italia sono oltre 800mila le donne con pregressa diagnosi di cancro alla mammella: mogli, mamme, sorelle, nonne, a volte figlie, lavoratrici. Hanno tutte bisogno di recuperare salute, serenità e ritorno ad una vita “normale”; il loro reintegro e il recupero della “normofunzionalità” sono parte essenziale delle cure, anche in una visione strategica della società.
Qual è l’impatto di una diagnosi di cancro sulla donna che ne viene colpita?
Oggi la maggior parte dei tumori è guaribile o ha una possibilità di recidiva fra il 3 e il 5%, ma l’impatto familiare, sociale ed economico di questo tipo di diagnosi è durissimo, spesso devastante. Un nostro studio su un gruppo di oltre 700 pazienti ci ha mostrato in maniera inequivocabile che il 25% ha sviluppato un problema di ansia o depressione maggiore post-reattivo alla diagnosi; che il 25% ha un problema familiare importante, spesso l’abbandono da parte del marito o del compagno, o la famiglia che va in crisi. Ma per un 15% di donne la diagnosi di cancro comporta anche un’importante “tossicità economica”, insomma costa moltissimo. Chi ha, ad esempio, un esercizio commerciale, sconta la propria diminuzione di efficienza e produttività e quindi un calo dei propri introiti, almeno di un quarto o di un terzo, per mesi o addirittura anni. Non dobbiamo preoccuparci soltanto per quel 3% di rischio recidiva, ma occorre farsi carico anche di questi altri aspetti. Ecco perché
le cosiddette terapie “integrate” sono parte integrante del nostro percorso e dovranno essere “attenzionate” sempre più dal nostro Ssn.
Stile di vita sano e screening regolari: quanto sono importanti per la prevenzione?
Sono fondamentali ma per gli screening esiste purtroppo un’eclatante disparità Nord- Sud. Nel Nord Italia registriamo un’aderenza del 60-70% che cala fino al 30% al Centro e al Sud. In particolare, dal post-Covid vediamo donne con tumori in fase avanzata, che non vedevamo prima. La prevenzione è strategica perché un tumore piccolo è un tumore guaribile; un tumore grande è molto meno guaribile e molto più difficile e lungo da trattare.
A proposito di trattamenti per la cura del cancro al seno, a che punto sono? In quali casi può essere utilizzata l’immunoterapia?
Per nessun altro tumore c’è stato negli ultimi vent’anni uno sviluppo importante come per quello della mammella.
La forchetta di opzioni a disposizione per ogni tipologia di tumore è enorme e passa attraverso la comprensione biologica del comportamento tumorale.
Mentre un tempo avevamo il “tumore della mammella”, oggi abbiamo decine di casi diversi, ognuno con propri specifici comportamenti che siamo in grado di comprendere e sui quali possiamo quindi intervenire in modo mirato con proposte di trattamenti personalizzate e molto efficaci, aldilà della chemioterapia “brutale” che si faceva fino a poco tempo fa. Ora disponiamo di farmaci biologici che “spengono” l’acceleratore Her2, oppure siamo in grado con l’immunoterapia di “riparare” il “freno guasto” dei tumori triplo negativi. C’è un’alta speranza di guarigione, anche rispetto a cinque anni fa. Per chi, come me, fa questo mestiere da trent’anni, avere un tumore che nel 90% plus dei casi guarisce è una prospettiva molto incoraggiante, impensabile fino a pochi anni fa. Una prospettiva integrata nella de-escalation: riusciamo a curare le nostre pazienti migliorando qualità e tollerabilità dei trattamenti secondo un approccio innovativo che ha già un ampio campo di applicazione in radioterapia, chemioterapia e chirurgia.