Trial promettenti contro l’Alzheimer. La presentazione di una nuova terapia sperimentale contro l'Alzheimer

La tecnica è di bersagliare le cellule “senescenti”, ovvero non più in grado di proliferare ma neanche di autodistruggersi con morte programmata

Trial promettenti contro l’Alzheimer. La presentazione di una nuova terapia sperimentale contro l'Alzheimer

Nelle società occidentali, l’età media della popolazione cresce inesorabilmente. Sempre più persone anziane, dunque, con il conseguente e inesorabile aumento di malattie neurodegenerative – prima fra tutte l’Alzheimer -, molte delle quali ancora senza una cura risolutiva. Motivo in più, questo, perché gli studiosi continuino ad orientare in questa direzione le loro ricerche e i loro sforzi.
Nuove speranze vengono da un recente studio (pubblicato su “Nature Medicine”), in cui si è iniziato a sperimentare proprio un trattamento anti-Alzheimer, che aiuta il cervello a sbarazzarsi delle cellule senescenti. Questa prima fase del nuovo trial farmacologico ha dimostrato intanto la sua “sicurezza” (assenza di effetti dannosi). Dovranno seguire le fasi sperimentali successive, nella speranza del loro buon esito, fino all’approvazione ufficiale e messa in commercio del nuovo farmaco. La ricerca è stata condotta da un gruppo di scienziati del Glenn Biggs Institute for Alzheimer’s & Neurodegenerative Diseases, della University of Texas Health Science Center di San Antonio (San Antonio, TX, Usa), insieme ad alcuni colleghi del Department of Internal Medicine Section on Gerontology and Geriatric Medicine, della Wake Forest University School of Medicine (Winston-Salem, NC, Usa), coordinati da Miranda E. Orr.
Di cosa si tratta in concreto? Negli ultimi decenni, la ricerca farmacologica sulla malattia di Alzheimer si è concentrata soprattutto sulla sintesi di molecole il cui target sono le placche di proteina beta amiloide e i grovigli di proteina tau, che si accumulano nel cervello dei pazienti provocando la morte dei neuroni.
Orr e colleghi, invece, hanno voluto esplorare un’altra possibilità promettente: quella di bersagliare le cellule “senescenti”, ovvero non più in grado di proliferare ma neanche di autodistruggersi con morte programmata (apoptosi). Se la senescenza cellulare rappresenta un meccanismo fisiologico protettivo, per esempio, contro la proliferazione incontrollata di cellule tumorali, è anche vero che, quando le cellule con questa caratteristica si accumulano in un organo (come spesso accade quando i tessuti invecchiano), possono comprometterne la funzionalità. In pratica, le cellule senescenti, vecchie e malate, incapaci di ripararsi ma anche di morire, iniziano a comportarsi in modo anomalo, rilasciando sostanze infiammatorie che provocano la morte delle cellule sane circostanti. Con il trascorrere del tempo, le cellule senescenti continuano ad accumularsi nei tessuti, contribuendo a loro volta al processo di invecchiamento, all’aumento del rischio di cancro e – nel caso del cervello – al declino cognitivo. Non a caso, infatti, già da alcuni anni gli studiosi hanno evidenziato una presenza anomala di cellule senescenti nel cervello di persone affette da Alzheimer.
Per favorire la loro distruzione, Orr e il suo gruppo hanno “riciclato” un farmaco già approvato dalla FDA per ripulire l’organismo dalle cellule tumorali (il dasatinib), usandolo in combinazione con un antiossidante di origine vegetale (la quercetina). Quest’ultimo è un elemento dalle proprietà antinfiammatorie, presente in natura nei frutti rossi, nei pomodori, nelle mele, nell’uva e in tanti altri prodotti.
Aggiungiamo che entrambi i farmaci si erano già dimostrati efficaci, anche usati in combinazione, in pazienti con altre malattie. “Inoltre – aggiunge Orr – ricerche precedenti dimostrano che usati insieme prendono di mira le cellule senescenti e permettono loro di morire. E sappiamo che hanno eliminato le cellule senescenti nei topi con una condizione tipo-Alzheimer”.
Trattandosi della fase 1 di questa sperimentazione, il team di scienziati ha somministrato i medicinali soltanto a 5 pazienti, di 65 anni o più, con sintomi iniziali di Alzheimer. Più in dettaglio, i partecipanti volontari hanno ricevuto il dasatinib e la quercetina in forma orale per due giorni di fila, seguiti da due settimane senza farmaci, in cicli ripetuti sei volte per un totale di 12 settimane. Il dasatinib è riuscito a raggiungere il sistema nervoso centrale dei pazienti; al contrario, la quercetina non è stata rilevata nelle analisi del liquido cerebrospinale.
Ebbene, il trattamento è risultato sicuro, ben praticabile e ben tollerato. Ovviamente, i test cognitivi non hanno evidenziato cambiamenti significativi nell’arco dello studio, ma Orr e colleghi hanno potuto evidenziare chiari indizi sull’iniziale efficacia della terapia combinata nell’iniziare ad intaccare le placche amiloidi e ridurre l’infiammazione nel sangue. Nel liquido cerebrospinale sono stati trovati invece marcatori infiammatori che potrebbero essere spia della morte delle cellule senescenti. Dunque, ottimi risultati iniziali, che però necessitano di ulteriori studi ben più ampi e con il coinvolgimento di un gruppo di controllo.

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Fonte: Sir