Tra la madre e il figlio. L’aborto negli Usa tra propaganda e nuove povertà
Il caso della ragazza che durante uno scontro a fuoco ha perso il bambino che aspettava riaccende il dibattito sull'aborto negli Stati Uniti. I termini pro-choice e pro-life non riescono a racchiudere la complessità della discussione intorno all'interruzione di gravidanza, stretta tra la Roe vs. Wade, le legislazioni statali e le estremizzazioni
Marshae Jones da mercoledì è tornata ad essere una donna libera, dopo essere stata arrestata perché durante uno scontro a fuoco con il suo fidanzato aveva perso il bambino di cinque mesi che aveva in grembo e secondo lo stato dell’Alabama la morte era responsabilità della madre. Lo Stato del Sud, lo scorso maggio, aveva dichiarato l’aborto un reato, senza nessuno sconto di pena anche per le donne che vi ricorrono dopo uno stupro o una violenza.
La legge, firmata dal governatore Kay Ivey, una donna e al suo secondo mandato, è stata giudicata estremista, contraria alle donne, incostituzionale e criminale. L’Alabama non è però l’unico ad avere approvato misure decise sulla difesa della vita: Giorgia, Kentucky, Ohio, Mississippi, Missouri, Nord Dakota, Utah sono stati tra i primi e molti altri si aggiungeranno, anche perché il caso del bambino assassinato nel grembo della madre ha evidenziato che ben 38 Stati hanno già in vigore leggi sull’omicidio di un feto, definito persona e perciò legalmente dotato di diritti e protezioni.
I termini pro-choice e pro-life non riescono, però, a racchiudere la complessità del dibattito sull’interruzione della gravidanza che è un tema scottante per tutti gli Stati Uniti.
“Oggi un punto chiave è comprendere se questa interruzione debba avvenire dopo la 20ma settimana o meno, perché parecchi biologi sostengono che a quello stadio il feto potrebbe avvertire dolore”, spiega Charlie Camosi, professore associato di Etica sociale all’università di Fordham, e che al tema ha dedicato un libro, ‘Resistere alla cultura dello scarto – Resisting trhrowaway culture’. “Il 60% degli americani ritiene illegale l’aborto dopo la 20ma settimana e sono più donne che uomini a sostenere questa posizione”, precisa, spiegando che la revisione della sentenza del 1973, nota come Roe vs Wade, sulla tutela della salute riproduttiva della donna è necessaria. La norma stabilisce che il diritto all’aborto non è assoluto, ma va bilanciato sia con la protezione della donna che con la protezione della vita non nata. In particolare si stabilisce che durante il primo trimestre, i governi statali non possono vietare gli aborti; durante il secondo trimestre, i governi potrebbero richiedere norme sanitarie diverse; durante il terzo trimestre, gli aborti sono proibiti tranne se la vita della madre è in pericolo.
E invece gli Stati si stanno muovendo diversamente: i più conservatori, tra cui l’Alabama appunto, chiedono di proibire l’aborto già a partire dalla sesta settimana, quando si può rilevare il battito cardiaco, anche se molte donne, in quello stadio sono inconsapevoli della gravidanza. Altri Stati più liberali come Illinois, Maine, Vermont chiedono un’estensione del primo trimestre; il governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo, lo scorso gennaio ha firmato una norma dove l’aborto viene autorizzato oltre le 24 settimane stabilite dalla legge del 1973, soprattutto se è in gioco il benessere della madre. L’autorizzazione potrebbe spingersi fino all’ultima fase della gestazione, secondo Cuomo, che ha rimosso l’aborto dalla lista dei reati penali e lo ha trasferito al codice sanitario ed ha autorizzato anche il personale paramedico ad eseguire l’interruzione di gravidanza. Qualora, poi, un bambino sopravvivesse alle tecniche abortive, secondo questa norma, non potrà usufruire della rianimazione e delle cure mediche necessarie alla sua vita. La Chiesa cattolica, ma anche i gruppi evangelici e protestanti si sono scagliati contro la proposta di legge e qualcuno ha chiesto persino la scomunica per Cuomo, ma il cardinale di New York, Timothy Dolan ha scelto il dialogo, le campagne di informazione e le lettere da spedire al Congresso.
Va anzitutto chiarito che nessuna delle norme finora firmate dai governatori degli stati è entrata in vigore e l’aborto resta legale in tutti gli Usa, anche se tutte queste proposte sono state portate alla Corte suprema, a cui spetta l’ultima decisione il prossimo novembre.
“Dal 1973 anno di approvazione della legge sono stati eseguiti negli Usa circa 53 milioni di aborti: 9 volte il numero degli ebrei sterminati nei campi di concentramento – prosegue Camosi. In questi 45 anni più del 30% delle donne americane ha avuto un aborto e il numero cresce enormemente se parliamo di donne afroamericane vicine alla soglia di povertà e che la nascita di un bambino trasformerebbe in senzatetto”. Purtroppo la copertura mediatica degenerata in propaganda e la polarizzazione politica hanno ridotto al minimo l’attenzione sulla sostenibilità economica di un bimbo, sulla salute delle donne e sulla qualità delle strutture sanitarie.
Un’analisi dell’Istituto Guttmacher ha rivelato che la maggior parte delle donne che ricorrono all’aborto hanno già altri figli: circa il 59% di loro è già genitore e non poche hanno un reddito al di sotto della soglia di povertà.
Nel 2018, poi, il tasso di mortalità per le madri era di 11,9 su 100.000 persone, con un 5,6% per le donne bianche e un 27,6 per le donne afroamericane, soprattutto povere. L’Alabama, ad esempio, conta il più alto tasso di mortalità infantile del paese e le donne incinte che vivono nelle aree rurali non hanno accesso alle cure ostetriche: solo 29 delle 67 contee dello Stato dispongono di sale parto. Intanto l’aborto in tutti gli Usa è ai minimi storici secondo i Centri di prevenzione e controllo delle malattie. La ragione va imputata non tanto alla severità delle leggi sull’aborto, quanto piuttosto all’accesso diffuso alle tecniche di contraccezione, inserite nel piano di assicurazione sanitaria.
“A ciò va aggiunto anche il piano varato dall’amministrazione Obama che ha offerto un supporto alle donne incinte in termini di copertura degli esami medici e di fondi statali per garantire le visite a domicilio di infermiere, ecografisti, ostetriche”, conclude Camosi che si rammarica del fatto che il congedo parentale, così sviluppato in Europa, non ha quasi traccia negli Usa: anche questo favorirebbe la vita.