“The New Pope” di Paolo Sorrentino: estetizzante, grottesca ma con lampi di genio
Sorrentino ci consegna una provocazione fortissima spingendo sull’acceleratore dell’eccesso visivo-narrativo, iniettando poi il racconto di un erotismo diffuso, che riguarda ogni personaggio, senza alcuno sconto. Nessuno appare immune dalla seduzione del peccato, del Male. È un ritratto di una Chiesa vuota, che vive nelle giravolte del proprio piacere estetizzante e del presunto potere. Una Chiesa untuosa e non unta, fatta di mestieranti sotto la cui tonaca resta il nulla, priva di forza e di Grazia
Nel clima televisivo addizionato dal Festival di Sanremo, sembra passare quasi sottotraccia la conclusione, venerdì 7 febbraio, della serie tv “The New Pope” su Sky Atlantic, una coproduzione guidata dall’italiana Wildside con la stessa Sky, HBO e Canal+, ovvero la seconda stagione sul papato e il Vaticano ridisegnato dal premio Oscar Paolo Sorrentino, dopo il successo internazionale di “The Young Pope” (2016). Di questa nuova serie avevamo parlato lo scorso settembre, vedendo in anteprima mondiale due episodi alla 76a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia; ora a ridosso del gran finale riusciamo a tracciarne un bilancio. Chiara è la genialità di Paolo Sorrentino, con il suo potente sguardo visionario e la sua raffinatezza visiva di matrice felliniana; al di là di ciò, però, “The New Pope” risulta sovraccarica, grottesca e persino urticante, pronta a perdersi in affascinanti derive estetizzanti.
La storia. Il rivoluzionario papa statunitense Lanny Belardo (Jude Law), ovvero Pio XIII, è in coma, in fin di vita a Venezia; in Vaticano viene convocato un conclave, accompagnato dall’influente cardinale Voiello (Silvio Orlando), che elegge in prima battuta il card. Tommaso Viglietti (Marcello Romolo) come Francesco II, il quale in breve tempo si lascia prendere la mano dal potere, minacciando di smantellare il sistema, scortato sempre da gruppi di giovani frati che ricordano tanto la setta di Alto Passero in “Trono di Spade”. Francesco II muore presto in circostanze (semi)misteriose e arriva al soglio di Pietro il card. inglese sir John Brannox (John Malkovich) con il nome di Giovanni Paolo III. Nel frattempo, la Chiesa cattolica è scossa da ripetuti scandali, oggetto di fanatismo nonché di incalzanti minacce terroristiche.
Geniale. Classe 1970, il regista, sceneggiatore e scrittore Paolo Sorrentino ha un curriculum artistico solido e decisamente eclettico, con una decina di film all’attivo – in evidenza “Le conseguenze dell’amore” (2004), “Il divo” (2008) e “La grande bellezza” (2013) –, puntualmente in concorso al Festival di Cannes e insignito dei riconoscimenti più importanti, dal David di Donatello all’Oscar. Nella serie “The New Pope”, in linea con la precedente “The Young Pope”, ritroviamo tutto il suo genio visionario, dedito ad avanzare una riflessione sulla Chiesa cattolica, sul suo potere temporale, utilizzando lo strumento dello specchio deformante.
Il vertice della sua creatività si ritrova nei due profili di pontefici, Pio XIII/Law e Giovanni Paolo III/Malkovich, differenti tra loro ma accomunati dal modus operandi spiazzante, enigmatico e rock insieme.
Come dicono gli inglesi, due figure assolutamente “cool”! Ancora, altro aspetto in cui riesce bene Sorrentino è la costruzione di quadri visivi magnetici e seducenti, segnati anche da passaggi poetici (soprattutto nel settimo episodio, quando papa Belardo si sveglia dal coma). Questi quadri, illuminati dalla magnifica fotografia di Luca Bigazzi, appaiono però il più delle volte slegati: belli, bellissimi in sé, ma sciolti dal discorso, che rischia di risultare poco compatto. Ci si chiede così se sia tutto un percorso visivo di tipo onirico, al limite dell’allucinazione, con raccordi tra pop e shock. In lui c’è tanto di Federico Fellini, soprattutto della sua stagione visionaria anni ’60 tra “8 e ½” e “Giulietta degli spiriti”, racconti sospesi tra sogno e psicanalisi.
Estetizzante. La cura formale di “The New Pope” è meticolosa, con una messa in scena ragionata e suggestiva. Emblema di questo sguardo sontuoso è senza dubbio la figura di Giovanni Paolo III, il cardinale inglese sir John Brannox, che Malkovich veste con grande acume e ironia. Brannox è amante della forma estetizzante al limite dell’edonismo. Da cardinale veste come un dandy, con abiti usciti dalla più raffinata sartoria inglese, ed è persino consulente di immagine della nuova duchessa di Sussex, Meghan Markle, che lo tormenta di chiamate ogni giorno (tempismo geniale quello di Sorrentino!); da Papa, poi, Brannox prova a rispettare i canoni estetici imposti dal ruolo istituzionale, ma ogni tanto deraglia: dallo shooting fotografico in abiti papali in stile barocco all’incontro con l’attrice americana Sharon Stone (proprio lei!) da cui riceve in dono le scarpe con tacco vertiginoso (dettaglio quasi feticista). Accanto a questo turbinio di immagini umoristico-deliranti del New Pope, c’è la dimensione estetica del racconto che fonde elegante realismo di matrice pittorica a flash al neon accecanti, fluo, che bordano persino le croci, dissacrando totalmente l’atmosfera in chiave ultra-pop.
Grottesca. La serie è segnatamente grottesca, come uno specchio deformante della realtà, ma di fatto ancorata nell’oggi. È un racconto totalmente esagerato e angosciante sulla Chiesa, quella temporale, visceralmente umana, invischiata negli inciampi del peccato, della corruzione tanto fisica quanto morale.
Sorrentino ci consegna una provocazione fortissima spingendo sull’acceleratore dell’eccesso visivo-narrativo, iniettando poi il racconto di un erotismo diffuso, che riguarda ogni personaggio, senza alcuno sconto. Nessuno appare immune dalla seduzione del peccato, del Male. È un ritratto di una Chiesa vuota, che vive nelle giravolte del proprio piacere estetizzante e del presunto potere. Una Chiesa untuosa e non unta, fatta di mestieranti sotto la cui tonaca resta il nulla, priva di forza e di Grazia. Le uniche manifestazioni della speranza, di una luce pulita, sembrano arrivare da papa Belardo/Pio XIII, che ora in coma ora sveglio sembra agire avvolto da un alone divino, di prossimità caritatevole. Il resto è un deserto, una povertà umana sconfortante. Una Chiesa che risuona a vuoto, senza senso. E in questo il racconto si fa irrealistico, persino urticante, per non dire asettico. Ma non c’è nulla che si salva? Forse il risveglio di Pio XIII segna la possibilità che proprio gli ultimi e i piccoli, come il ragazzo disabile accudito dal card. Voiello o le suore costrette a essere al servizio della corte, daranno un nuovo corso alla Chiesa nella quale non sono le omologazioni, ma la differenza nella complementarità a farla popolo di Dio. Non senza peccato, ma con la fiducia nella certa misericordia del Padre.