Terremoto Centro Italia: la voglia di rinascere è più grande della paura. La storia di Michela e Marisa
La storia di Marisa e di sua figlia Michela che hanno scelto di restare per amore della loro terra segnata dal sisma del 2016: "Siamo rimaste per amore di questa terra alla quale ci tengono legate radici profonde". Cinque anni trascorsi tra speranza, burocrazia e dubbi. Una storia di ricostruzione e di rigenerazione
(Da Amatrice) “La voglia di ricominciare è stata più grande della paura provocata dal sisma”. Michela D’Alessio non ha dubbi. Sono passati 5 anni da quando le scosse del 24 agosto 2016, e quelle successive di ottobre e gennaio 2017, hanno reso inagibile l’agriturismo di famiglia sito a San Giorgio, piccola frazione di Amatrice, il centro sui monti della Laga, una delle icone del terremoto del Centro Italia.
Quattro anni di stop forzato, tra promesse, attese e pratiche burocratiche, non hanno intaccato la volontà di Michela e della sua famiglia di restare, anzi l’hanno rafforzata. Così il 20 giugno dello scorso anno l’agriturismo D’Apostolo è tornato “provvisoriamente” a riaprire i battenti seppur delocalizzato, in attesa di tornare nella sua struttura originaria quando sarà di nuovo agibile.
“Venti anni di attività non potevano essere affossati dalla paura”,
afferma Michela che oggi guarda con orgoglio le 6 baite di legno colorate con vista sui monti della Laga, dotate di 24 posti letto, curate e accoglienti, più una “club house” dove gli ospiti possono fare colazione al mattino e ritrovarsi dopo una giornata trascorsa nella conca amatriciana. Insomma, un vero e proprio paesetto di montagna, immerso nel verde, “un’oasi felice e colorata per ricreare gli animi. Siamo passati da un turismo delle macerie ad uno più sostenibile, attento alla natura e all’ambiente”.
Rimasti per amore. “Siamo rimasti per amore di questa terra alla quale ci tengono legate radici profonde.
Sono innamorata di questi luoghi che mi hanno visto nascere – spiega Michela, che gestisce anche una azienda agricola -. Qui vedo il mio futuro”.
Anche a dispetto di un presente che non è avaro di problemi. “Dopo il terremoto – racconta – abbiamo assistito ad una lenta ma progressiva caduta della socializzazione. Le serate in cui si usciva con gli amici sono solo un ricordo. Tanti sono andati via o si sono trasferiti in altre località. Nella nostra frazione eravamo circa sei famiglie, ne siamo rimaste in tre. La pandemia poi ha aggravato la situazione. Ma non ci manca la forza di riprendere il cammino”. Lo scorso 24 luglio, Michela e la Comunità Laudato si’ di Accumoli-Amatrice hanno organizzato una festa per riscoprire antiche tradizioni locali come l’organetto, lo strumento tipico di queste terre, che accompagna il ballo della “salterella” amatriciana. “Abbiamo suonato, fatto benedire gli strumenti musicali e liberato in aria due colombe in segno di rinascita. Non abbiamo potuto ballare per le norme anti Covid-19, ma sono certa che torneremo a farlo tutti insieme”.
Seminare oggi per raccogliere domani. “Seminiamo oggi per raccogliere domani, seguendo il ciclo del tempo e delle stagioni. Scegliendo di restare abbiamo ragionato come il contadino che semina per raccogliere”, ribadisce Michela.
“Anche in un dramma come il terremoto, quando tutto intorno a te è maceria, è possibile intravedere piste di futuro”.
“Siamo ripartiti dalla terra, dagli animali e dalla richiesta di tanti di prodotti tipici di Amatrice. Purtroppo – ammette – la burocrazia resta un grande ostacolo. Tuttavia da quando è arrivato il commissario Giovanni Legnini le cose sono migliorate, le norme sono state semplificate e rese più efficaci, possiamo guardare avanti con più speranza”.
Speranza mista a dubbi. “Il terremoto ci ha messo alla prova – riconosce Marisa D’Apostolo, la madre di Michela -. È stata dura ma dobbiamo ringraziare Dio per non avere perso nessun familiare”. Il ricordo torna ancora a 5 anni fa: “Non ho mai pensato di andarmene, anzi ho sempre creduto che, grazie anche a tanta solidarietà, si potessero fare molte cose. Pensavo che saremmo tornati quanto prima ad una normalità, ma ora comincio a nutrire dei dubbi”. Un chiaro riferimento alla “politica” e a “quel sistema” che ha gestito fino a poco tempo fa il post-sisma. “Invece di sperperare tanti soldi – afferma Marisa – si doveva pensare a ridare una casa a chi qui ci abita davvero evitandone l’esodo”. La svolta attesa da Marisa e da tanti altri in questa terra martoriata sembra lontana:
“Avvertiamo un senso di precarietà che non avevamo patito nemmeno subito dopo il terremoto. Se siamo rimasti non è per una questione economica: qui ricco non ci diventi. Lo abbiamo fatto per un senso di libertà, per l’amore che ci lega a queste montagne”.
Di cosa avreste bisogno? “Prima avevamo servizi e infrastrutture ridotte al minimo, oggi nemmeno quelle. In compenso dobbiamo sottostare a norme che rendono difficile anche l’attività commerciale. Penso ai miei figli che hanno delle aziende agricole dove si producono prodotti biologici. Per poterli vendere devono affidarsi a laboratori autorizzati che qui non abbiamo. Così devono spostarsi per decine di km. Rilanciare questa terra significa dotarle di strutture ad hoc, come dei laboratori dedicati per la trasformazione dei prodotti”.
La rinascita passa per la bellezza. Nonostante tutto Michela e Marisa continuano a credere nella rinascita della loro terra. “Accogliamo turisti e visitatori e mostriamo loro la bellezza di questi monti che hanno fatto innamorare tante persone”, sottolinea Marisa. “Restano affascinati da questa terra ma anche dalla generosità e dal temperamento di chi la abita. Siamo gente di montagna, generosa ma – avverte – anche gelosa del territorio. Vogliamo che sia benvoluto e rispettato”. La rinascita di Amatrice passa anche attraverso la bellezza dei suoi monti e il rispetto dell’ambiente.