Sveglia e caffé. Una ricerca sugli effetti benefici della caffeina
La caffeina non solo è in grado di aumentare il nostro livello di attenzione, ma sembra pure favorire capacità cognitive complesse come l’apprendimento.
Una nuova giornata che si rispetti non può che iniziare col “rito” mattutino della… tazzina di caffè. Pochi sorsi e la scura bevanda comincia a far sentire i suoi benefici effetti, predisponendoci ad affrontare il mondo che ci attende. L’importante è non esagerare con le dosi.
In realtà, l’assunzione di caffeina è estremamente diffusa nel mondo (circa l’80% della popolazione mondiale), attraverso l’ingestione di caffè, tè, bevande gassate ed energetiche, oppure mangiando cioccolata. Per questo gli scienziati, già da qualche tempo, hanno cominciato a interessarsi agli effetti che il consumo di questa sostanza psicoattiva (un alcaloide naturale) può esercitare sul funzionamento del cervello e, più in generale, sulla salute.
Per esempio, nel 2019, uno studio (pubblicato sullo “European Journal of Epidemiology”) di metanalisi di 40 ricerche – per un totale di quasi quattro milioni di persone coinvolte – ha evidenziato come bere in media 3 tazze di caffè al giorno riduca il rischio di morte, anche per malattie cardiovascolari e tumori. Più di recente (2021), è uscito un articolo apparso su “Scientific Reports” mostrava come una sola tazzina di caffè, dopo mezz’ora dalla sua ingestione, era in grado di migliorare le prestazioni dei volontari in test cognitivi, aumentando la connettività funzionale del loro cervello.
In realtà, quasi tutti gli studi sulla caffeina fin qui condotti si sono concentrati sui suoi effetti immediati (in genere, entro ventiquattr’ore dall’assunzione). Al contrario, pochi ricercatori si sono interessati ai benefici sul lungo termine del consumo quotidiano di questa sostanza, né qualcuno ha mai investigato i meccanismi molecolari che, all’interno delle cellule nervose, determinano i suoi effetti.
“Subito dopo aver bevuto caffè – spiega David Blum, neuroscienziato dell’Istituto nazionale della sanità e della ricerca medica all’Università di Lille, in Francia – ci sentiamo più ‘svegli’, cresce cioè la nostra soglia di attenzione; ma un consumo moderato e abituale di caffeina, diciamo dalle due alle quattro tazze di caffè americano al giorno, ha sul lungo periodo un effetto ben più rilevante: cambia il cervello a livello dell’attività cellulare”. In che modo? Lo spiega in dettaglio un recente studio (pubblicato sul “Journal of Clinical Investigation”) condotto da un gruppo di ricerca coordinato dallo stesso Blum.
In pratica, ogni giorno per due settimane, i ricercatori hanno dato da bere a topi acqua con caffeina (in quantità equivalente a un consumo moderato per l’essere umano); successivamente, Blum e colleghi hanno effettuato un’analisi epigenetica, relativa cioè alla regolazione della trascrizione dei geni, del metabolismo, degli RNA e delle proteine all’interno delle cellule nervose dell’ippocampo (l’area cerebrale in cui avvengono consolidamento della memoria e apprendimento).
“Nel cervello a riposo, – chiarisce Blum – la caffeina riduce la sintesi di proteine coinvolte nel metabolismo nelle cellule non neuronali, mentre aumenta nei neuroni la produzione di proteine legate alla loro attivazione e all’attività sinaptica. Ebbene, molte di queste ultime restano iper-espresse anche dopo due settimane di “disintossicazione”, cioè senza aver assunto caffeina, a riprova che un consumo moderato ma prolungato di caffeina esercita sui neuroni un effetto duraturo.
L’esperimento non si è limitato ad indagare gli effetti di tale sostanza sul cervello a riposo, ma ha voluto osservare cosa accadeva nella fase attiva di apprendimento, ad esempio mentre i topi imparavano a orientarsi in un labirinto d’acqua. Risultato? Gli animali “caffeinomani” riuscivano a trovare la via d’uscita prima e meglio, e a livello molecolare, al contrario di quanto accadeva a riposo, si riscontrava un aumento nella sintesi delle proteine legate ai processi metabolici nelle cellule non neuronali (astrociti, oligodendrociti e cellule della microglia). “Sembra esserci un legame – aggiunge Blum – tra il metabolismo delle cellule non neuronali e l’attività dei neuroni; è come se la ‘pausa’ metabolica delle cellule non neuronali quando il cervello è a riposo servisse a preparare i circuiti in previsione del momento in cui ne viene richiesta l’attivazione, per esempio quando si impara a svolgere un nuovo compito”.
La caffeina, dunque, non solo è in grado di aumentare il nostro livello di attenzione, ma sembra pure favorire capacità cognitive complesse come l’apprendimento. Una verità, questa, già messa in evidenza da precedenti studi, anche se non si avevano le prove molecolari. Si sapeva già per esempio, che, dopo aver assunto caffeina, le api ricordano meglio gli odori; una somministrazione massiccia della sostanza aumenta le prestazioni mnemoniche dei topi; nelle persone, bere caffè migliora le performance in test di discriminazione. Era anche già noto che un consumo abituale di caffeina contrasta il declino cognitivo che si osserva naturalmente in vecchiaia ma anche in condizioni patologiche come l’Alzheimer o altre malattie neuropsichiatriche. “La caffeina – conclude Blum – rallenta la perdita di memoria negli anziani e nelle persone malate di demenza e Alzheimer e probabilmente ciò avviene attraverso la ‘normalizzazione’ dell’attività sinaptica, come mostrato dalla nostra ricerca. Ma per provarlo bisognerà effettuare altri studi”.
E ora, confortati dalla scienza, possiamo gustare con maggiore tranquillità la nostra tazzina di caffè!