Siria. Mons. Jeanbart: “Abbiamo scelto la lotta e non la fuga. Ricostruiamo per restare ad Aleppo”
Aleppo, città martire della guerra in Siria, oggi è, in vaste zone, ridotta a un cumulo di macerie. Ma c'è chi esorta a non perdere la speranza e si impegna a dare aiuto concreto a coloro che vogliono ricominciare a vivere. La testimonianza dell'arcivescovo greco-cattolico, mons. Jean-Clement Jeanbart: "la sfida è la ricostruzione della persona, corpo, mente e spirito e del suo senso di appartenenza alla comunità”.
“Alzatevi, Cristo è con noi”: dalla terrazza dodicesimo piano dell’edificio “Tour Al Amal”, l’arcivescovo greco-melkita, mons. Jean-Clement Jeanbartguarda la sua città, Aleppo. Ne indica il suo simbolo inespugnato, la Cittadella – patrimonio dell’Unesco – uno dei fronti nella guerra tra i ribelli e le truppe del presidente Bashar al Assad. Tutto intorno una distesa di edifici e palazzi distrutti, l’immagine più nitida di una battaglia-assedio durata oltre 4 anni (2012-2016) che non ha risparmiato niente e nessuno. Nemmeno la città vecchia che, con le sue macerie, è ancora lì a raccontare di una bellezza che fu e che forse non tornerà più. Sono passati poco meno di tre anni dalla fine degli scontri e in città non si notano tracce evidenti di ricostruzione. Ma mons. Jeanbart non perde la speranza. Si affaccia dalla ringhiera della terrazza, e quasi a lanciare un grido agli aleppini, ripete con forza “Alzatevi, Cristo è con noi” e subito dopo “non abbiate paura”. “Queste parole – rivela l’arcivescovo – sono incise su un’iscrizione rinvenuta su di un muro incrostato durante i lavori di restauro di una nostra casa, danneggiata dalle bombe, risalente al XVII secolo. Subito ne ho fatto una sorta di parola d’ordine per la nostra comunità. Abbiamo bisogno di avere fiducia, di tornare a sperare se vogliamo ricostruire la nostra città”.
“Speranza e ricostruzione vanno a braccetto”.
Aleppo, città ferita. “Aleppo è una città ferita – spiega il presule mentre le lancia un ultimo sguardo prima di scendere in strada –. È stato distrutto tutto ciò che poteva dare da vivere ai suoi abitanti, migliaia di industrie, strutture commerciali, scuole e ospedali. Razzi e bombe hanno raso al suolo una millenaria tradizione di convivialità e di pluralismo. Nonostante la devastazione e le sofferenze gli aleppini non hanno piegato la testa.
Abbiamo scelto la lotta e non la fuga.
Come comunità cristiana abbiamo deciso di lavorare per alleviare il dolore delle ferite corporali e morali della popolazione”. Così da una fase di emergenza, nella quale “si è cercato di aiutare i più poveri e vulnerabili fornendo loro l’essenziale per sopravvivere”, dallo scorso anno si è passati all’assistenza “in vista di un futuro migliore”. Un campo di intervento vasto quello tracciato dall’arcivescovo, che vede la chiesa greco-melkita in prima linea:
“Aleppo ha bisogno di essere aiutata a dare una buona istruzione alle nuove generazioni, a dare lavoro e una nuova casa alla popolazione, ricostruire ospedali e infrastrutture efficienti”. In una parola “permettere ai suoi abitanti di continuare a vivere nelle loro case e terre”.
Aiutateci a restare. Un appello rivolto soprattutto per i cristiani. “Aiutateci a restare e non a partire dalla Siria. A chi ha scelto di emigrare lancio un appello a tornare. Abbiamo messo in campo il progetto ‘Aleppo ti aspetta’ all’interno del quale è attiva la campagna ‘Ritorno’ che si pone come obiettivo di frenare l’esodo dei cristiani dalla Siria, una vera tragedia per la nostra Chiesa”. Ad Aleppo, prima della guerra (2011), vivevano 185 mila cristiani, oggi stime delle Chiese locali parlano di meno della metà. “A chi deciderà di rientrare dall’estero verrà pagato il viaggio di ritorno e offerto un aiuto per vivere dignitosamente in attesa di un lavoro e un sostegno temporaneo per pagare l’affitto di una nuova casa. Siamo un Paese ricco di risorse naturali, artistiche, storiche. Tutti avrebbero di che vivere”. Purtroppo oggi la Siria è diventata la più grande portaerei del mondo che le grandi potenze internazionali e regionali si litigano a colpi di cannone”.
Dalle parole ai fatti. Il Tour Al Amal, con i suoi 12 piani e 66 appartamenti è una delle risposte concrete messe in campo da mons. Jeanbart per dare un tetto alle giovani coppie cristiane che vogliono restare. Un progetto che porta significativamente il nome di “Costruire per restare”. E per quelle che pensano di sposarsi, nel quartiere Al-Jalae, stanno sorgendo altri 90 appartamenti. “Sono progetti resi possibili grazie alla generosità di tanti benefattori, in prima fila la Conferenza episcopale italiana. Abbiamo ristrutturato circa 1200 edifici sia residenziali che commerciali. Per fare fronte alle spese dei lavori abbiamo venduto anche delle nostre proprietà. Manteniamo tutte queste case con gli affitti mensili agevolati stabiliti in base al reddito dei residenti. Non siamo uomini di affari ma pastori” rimarca sorridendo l’arcivescovo. All’ombra del Tour Al Amal un altro edificio, ma più piccolo. C’è un via vai continuo di gente. Tutti si fermano a salutare l’arcivescovo, chiedono una benedizione, ringraziano, sorridono. “In questo complesso non ci sono appartamenti – dice – ma un supermercato solidale, un centro di formazione professionale per infermieri, estetiste, falegnami, meccanici, idraulici e elettricisti. Tutte professioni molto richieste sul mercato del lavoro. Il centro ha già formato più di 1000 giovani, uomini e donne, e quasi tutti sono stati in grado di trovare un lavoro gratificante. È stato da poco attivato un laboratorio di restauro frequentato da cinque ragazze. Il loro sogno è restaurare le antiche case di Aleppo”. Poche scale ed ecco davanti agli occhi gli scaffali pieni di prodotti del supermercato solidale. “Anche questo è un miracolo della generosità di tanti che la Provvidenza mette sulla nostra strada – racconta mons. Jeanbart – molte di queste merci vengono donate da benefattori e aziende. Non usiamo denaro ma solo un voucher che consente di fare spesa gratuitamente secondo le necessità. Nel supermercato impieghiamo oggi ben 17 giovani. La generosità produce anche lavoro”. In questo ‘palazzetto’ della solidarietà trovano spazio anche un laboratorio clinico e un ambulatorio. “Molti dei macchinari diagnostici sono stati acquistati con fondi Cei– spiega l’arcivescovo -. I nostri medici, in larga parte volontari, effettuano esami a un costo irrisorio rispetto ai centri statali. Questo consente a molti che sono nel bisogno di avere ben dodici tipologie di visite specialistiche che vanno dalla cardiologia fino all’ortopedia e alle cure dentali”.
Bonus famiglie. Ma c’è un progetto su tutti di cui mons. Jeanbart va particolarmente fiero: “è rivolto ai nuovi nati. Per stimolare le nascite nelle giovani coppie cristiane abbiamo pensato di sostenere tutte le spese per il neonato, da quelle ospedaliere ai pannolini, arrivando ad erogare anche un assegno mensile per il neonato fino al suo secondo anno di vita. Se non è un bonus famiglie poco ci manca” sorride il presule. “Ma il nostro pensiero va anche ai più grandi, a chi vuole iniziare o rilanciare un’attività commerciale. Per loro sono disponibili prestiti a fondo perduto. Nel 2018 sono stati circa 300 i beneficiari”. “Alzatevi, Cristo è con noi” ribadisce ancora mons. Jeanbart.
“Non abbiate paura”, ripete ancora una volta ai fedeli radunatisi intorno alla sua auto, “Se vogliamo ricostruire la nostra città abbiamo bisogno di fiducia e speranza. Speranza e ricostruzione vanno a braccetto”.