Siria. Card. Sako: “Una grande sorpresa per tutto il Medio Oriente. Speriamo che i capi dell’opposizione siano sinceri”
"È stato un evento rapido che ha portato un grande cambiamento. Speriamo bene per la Siria". Così il patriarca caldeo di Baghdad commenta la repentina caduta del regime di Bashar Al Assad per mano delle milizie di Tahrir al-Sham (Hts). Il Sir ha incontrato il cardinale a margine del Concistoro del 7 dicembre scorso e gli ha rivolto alcune domande sulla confinante Siria e sulla situazione in Iraq
“Una grande sorpresa. Non solo per i siriani ma per tutto il Medio Oriente. È stato un evento rapido che ha portato un grande cambiamento. Speriamo bene per la Siria”. Così il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, commenta la repentina caduta del regime di Bashar Al Assad per mano delle milizie di Tahrir al-Sham (Hts).
“Ho parlato con altri patriarchi, anche ortodossi, e con il nostro vescovo caldeo, mons. Antoine Audo, che si trova ad Aleppo: tutti sono concordi nel manifestare speranza per il futuro anche se non nascondono timori”, aggiunge il cardinale. “I capi dell’opposizione armata che hanno preso il potere parlano di un regime civile, di una Siria nuova, rispettosa dei diritti dell’uomo e con un Governo che dovrà vedere la partecipazione di tutte le componenti politiche e sociali. Speriamo che siano sinceri”.
Quanto potrebbe influire una Siria pacificata sull’Iraq e sul Medio Oriente?
Se le cose si svolgeranno in maniera pacifica tutta la regione ne avrà beneficio, non solo l’Iraq ma anche il Libano, Israele, la Turchia, la Giordania, lo stesso Iran. Ne sono certo.
In questo caso, crede che molti siriani, anche cristiani, fuggiti dalla guerra civile torneranno in patria?
Penso di sì. I cristiani siriani erano il 20% della popolazione, ora solo l’1%. Tanti sono in Turchia, in Giordania, in Libano e anche in Iraq. Perché tornino occorre che ci siano condizioni politiche, sociali ed economiche favorevoli. Che riabbiano indietro le loro case, il loro lavoro, le loro proprietà. In sintesi un futuro. E questo vale anche per altri Paesi della regione che, è bene dirlo, devono rivedere le loro posizioni. Non possono pensare di mantenere il loro potere per sempre. In Siria in pochissimi giorni è cambiato tutto.
Il potere coltivato con una mentalità di sopraffazione, irrispettosa dei diritti umani, prima o poi è destinato a crollare.
La parola chiave è sempre più “cittadinanza” che, se applicata, elimina le diseguaglianze tra i cittadini, i settarismi. Siamo tutti uguali, non ci sono differenze tra persone di fedi politiche e credenze religiose diverse. Ognuno deve essere libero di credere o no. Dio rispetta la libertà dell’uomo e noi non dobbiamo forzare la gente a praticare la religione o trasformare la religione in una ideologia da imporre con la forza. La riconciliazione, la pacificazione e il dialogo sono strumenti per risolvere le controversie. A questo riguardo spero tanto che presto si possa arrivare ad un accordo per il cessate il fuoco a Gaza e per la liberazione degli ostaggi.
Com’è la situazione in Iraq adesso?
La situazione è un po’ tesa visto quanto accaduto in Siria. C’è un po’ di paura tra la gente e ci si chiede quali conseguenze questo cambio di regime dopo Assad potrà avere in Iraq.
Crediamo che eserciti, milizie e armati debbano essere sotto il diretto comando dei Governi centrali. La pace e la guerra devono essere decisioni che solo i Governi possono prendere e non altri.
A proposito di milizie, fa discutere in Iraq la presenza della Brigata Babilonia, comandata da Ryan “il caldeo”, che ha legami con l’Iran. Composta da cristiani e da musulmani sciiti del sud dell’Iraq, su questa milizia e il suo capo pendono accuse di corruzione e esproprio illegale di proprietà dei cristiani assiri nella piana di Ninive…
Questa brigata attua il proprio potere soprattutto nella Piana di Ninive che governa anche mettendo mano su tutto ciò che è cristiano. Questa situazione è destinata a finire. La volontà dei cristiani deve essere rispettata, come anche le loro proprietà. I membri di questa milizia facciano politica come gli altri e lascino liberi i cristiani. I loro miliziani non possono essere “usati” contro i cristiani, per scopi personali. Le nostre sono comunità pacifiche che cercano solo il bene dell’Iraq.
Non è lecito ottenere, con il denaro, l’appoggio di appartenenti al clero per portare avanti obiettivi che nulla hanno a che vedere con il bene comune. Questo “fenomeno della corruzione” confligge con la morale cristiana e deve spingere alcuni, anche nella Chiesa irachena, a rivedere il proprio atteggiamento: non si possono accettare soldi sottratti al bene comune.
Dobbiamo avere una voce pubblica, profetica, per difendere i diritti dell’uomo, i poveri e coloro che sono oppressi e non cercare i nostri interessi particolari.
Nel 2014 i terroristi dello Stato islamico invadevano la Piana di Ninive, luogo simbolo della cristianità irachena, costringendo 120mila cristiani a fuggire. Dopo 10 anni quanti sono i cristiani che vi hanno fatto ritorno?
Dopo la liberazione dallo Stato Islamico, il 60% dei cristiani sono ritornati, gli altri sono rimasti in Kurdistan dove hanno trovato una nuova casa e un nuovo lavoro. Ma ci sono tanti, in questo 60%, che hanno scelto di emigrare. Una forte spinta a partire è stata determinata dalla presenza di milizie armate che controllano tutto e anche dal tragico incendio, il 26 settembre 2023, in una sala durante un matrimonio a Qaraqosh. 133 morti, centinaia di feriti. Un numero doppio rispetto alla strage alla cattedrale siro cattolica di Nostra Signora del Soccorso, a Baghdad, nel 2010, dove si contarono una cinquantina di morti. Sono famiglie che hanno perso fiducia nella politica, nei Governi, temono per il futuro, non si sentono libere e non vedono stabilità e sicurezza. Tuttavia, spero che l’Iraq possa trarre una lezione benefica da quanto accaduto nel suo passato.
Nonostante le sue grandi risorse e ricchezze naturali, cosa impedisce all’Iraq di prosperare e garantire un futuro stabile ai suoi cittadini?
La corruzione. Incontrollabile. Milioni e milioni di dollari che vanno via.
La corruzione è diventata cultura in Iraq.
Per sconfiggerla i Governi devono creare occupazione, servizi, infrastrutture, costruire strade, scuole, ospedali, centrali elettriche. A questo deve servire il denaro pubblico, per il bene comune, e non per gli interessi personali, di partito, di tribù, fazioni e di pochi altri. In Iraq il settarismo è ancora un problema grande anche se con questo Governo le cose sembrano andare un po’ meglio. Tutti i responsabili politici devono lavorare per dare al popolo, a tutto il popolo, una vita dignitosa, rispettosa dei diritti e un futuro di pace.
Non propriamente un compito facile se pensiamo anche all’influenza di Paesi stranieri, come l’Iran, sull’Iraq…
Ribadisco che bisogna rispettare la sovranità di ogni Paese e mantenere buone relazioni tra Governi e leader, anche religiosi. La collaborazione e l’amicizia fra le comunità religiose è importante perché, come disse Papa Francesco nella sua visita in Iraq, nel 2021, “coltivando il rispetto reciproco e il dialogo, si può contribuire al bene dell’Iraq, della regione e dell’intera umanità”.
Ricordando quel viaggio papale non possiamo dimenticare la visita a Najaf del Pontefice al grande ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani, leader della comunità sciita nel Paese. Da quell’incontro prese le mosse un cammino di dialogo che lei stesso ha cercato di sostenere in questi anni. Con quali esiti?
Il cammino e i legami interreligiosi sono molto vivi. Anche se non possiamo incontrarci molto, perché l’ambiente non lo facilita, ci sentiamo spesso. Noi cristiani abbiamo rapporti amichevoli con sciiti, sunniti e con altri gruppi religiosi. Il problema non sono i capi religiosi ma i politici. Tutto è legato alla politica del Paese che deve perseguire il buon governo dell’Iraq. Le religioni devono dare il loro contributo eliminando al loro interno divisioni e frammentazioni. Con l’unità si prepara l’avvenire del Paese.
Più volte lei ha auspicato un documento, analogo a quello sulla Fratellanza umana di Abu Dhabi, firmato con l’imam sunnita Al Tayyeb, con il mondo sciita. Sono maturi i tempi per un testo simile?
Penso di sì. Ricordo le parole di Al Sistani rivolte ai cristiani prima dell’arrivo del Papa e che campeggiavano in grandi poster a Najaf e a Baghdad: “Voi siete parte di noi e noi parte di voi”. Parole chiare di fratellanza.
Io credo che ci sia lo spazio per redigere un documento con il mondo sciita
nel quale l’Iran ha un suo peso. Un documento che potrebbe educare i fedeli delle due religioni, rassicurarli sull’importanza del dialogo, sul fatto che siamo fratelli nell’umanità e nella fede abramitica. Bisogna accelerare il passo per trovare una strada per arrivarci.
Eminenza, siamo vicini al Natale e mai come quest’anno la festa si inserisce tra le pieghe di conflitti vecchi e nuovi, Gaza, Palestina, Israele, Libano. Che Natale sarà questo che sta per arrivare?
Il Natale non è solo per i cristiani ma è per tutta l’umanità. Gesù, Figlio di Dio, nasce per incarnare valori spirituali e umani di pace, di speranza, di dignità, di diritti, valori che sono espressione divina. Dio ha creato l’uomo perché vivesse felice. Tutti gli uomini sono chiamati a vivere da figli di Dio e quindi da fratelli. I leader politici devono sentire questa coscienza e questa responsabilità. Tutto ciò che Dio ha fatto è per l’uomo. Vivere negando questi valori vuol dire negare l’ordine internazionale nel quale l’uomo costruisce la sua vita e dignità di figlio di Dio.
Natale è una chiamata per tutti, cristiani e musulmani, per coloro che credono e che non credono. Noi come Chiesa non dobbiamo avere paura di parlare di questo, non essere timidi. Gesù ha preparato la strada alla vera felicità dell’umanità. Questo è l’annuncio.