Se lo spettacolo supera la vita. Il concorrente di Ciao Darwin che rischia di restare paralizzato
I recenti incidenti capitati a concorrenti e la ricerca della visibilità a tutti i costi sta portando alla perdita del senso della realtà.
Ora se ne parla di più, dopo l’incidente “darwiniano” del concorrente che rischia di rimanere paralizzato. Ma è da parecchio tempo che i social puntano sullo spettacolo a tutti i costi. Il lento passaggio dalla carta al web non ha fatto altro che rendere più sinistramente popolare il tentativo di bucare lo schermo e di diventare famoso. La proverbiale Isola che li raccoglie, i famosi, ha creato una dimensione fatata per accedere alla quale val bene una parolaccia, un rischio, una dimostrazione di forza o di furbizia, quattro chiacchiere che dovrebbero rimanere nel privato, come anche effusioni e carezze.
Non perché siano male, tutt’altro: senza carezze e coccole staremmo molto peggio, a tutte le età. Ma il fatto è che sui social sono riprese, registrate, mostrate e chi ne è protagonista lo sa bene. Snaturate, per dirla tutta. È lo stesso principio del selfie: ci sono, ecco la prova. Ci sono, mi sto perdendo l’attimo fuggente di uno dei più bei tramonti mai visti nella mia vita, che non sarà mai rappresentabile nel fascino della sua irripetibilità, eppure ecco ciò che conta davvero: guardate(mi).
In realtà, fin dai tempi lontani, l’immagine, la copia, l’arte, erano visti con un certo sospetto. Platone, tanto per fare un nome non propriamente marginale, aveva addirittura osato attaccare l’arte come imitazione di una imitazione: la natura non era altro che una copia imperfetta dell’idea intangibile ed eterna. Ma non dobbiamo andare così lontano: nel Novecento Pirandello riteneva che la forma artistica imprigionasse la vita. E che una foto, come un dipinto, immobilizzasse ciò che è impossibile fermare. Non siamo mai la nostra immagine, insomma.
Sta qui tutta la differenza tra il voler apparire e l’esistenza reale. Lo stesso gesto sportivo, unico, irripetibile, si realizza grazie a una disciplina severa e lunga, assai di più di quell’evento che può durare i nove secondi e 58 sui cento metri o il “massacro” di un incontro di pugilato che finisce ai punti. L’affermazione della scorciatoia attraverso il successo virtuale porta ad attese - e ad azioni- sbagliate. Ma anche qui c’è una sorpresa: il problema c’era già nel 356 prima di Cristo, quando un certo Eratostene dette fuoco al famoso tempio di Artemide ad Efeso per “rimanere nella storia”. Come si vede la ricerca della fama a tutti i costi è stata sempre pericolosissima. I bambini ammirano o sono portati all’imitazione di superuomini che compiono incredibili imprese. Se non vengono educati responsabilmente, con l’aria mediatica che tira potrebbero crescere con il falso mito della notorietà a tutti i costi. Ignorando, non per colpa loro, che si può non essere “famosi” per qualche ora, ma si può trovare dentro di sé e nei rapporti con l‘altro, il senso felice dell’esistenza.
Marco Testi