Se la violenza è un antidoto alla noia. La cronaca recente ci racconta storie di adolescenti violenti e criminali. La Generazione Z?
Intervista a Daniela Chieffo, professore associato e direttore dell’Unità Operativa di Psicologia clinica presso l’Università Cattolica Fondazione Policlinico Agostino Gemelli
Un sedicenne pestato a sangue per un telefonino da una baby gang a Modena, piccoli rapinatori armati di spray al peperoncino in zona Navigli a Milano e, infine, la tragica e brutale uccisione del diciassettenne Thomas Christopher Luciani a Pescara. La cronaca recente ci racconta storie di adolescenti violenti e criminali. Questo è il profilo della Generazione Z? Ne parliamo con Daniela Chieffo, professore associato e direttore dell’Unità Operativa di Psicologia clinica presso l’Università Cattolica Fondazione Policlinico Agostino Gemelli.
Professoressa Chieffo, quanto sono diffusi tra i giovani d’oggi i comportamenti violenti e aggressivi. Qual è la radice di questo fenomeno?
La violenza tra i giovani è in aumento, ma anche perché questi comportamenti ottengono sui media una notevole visibilità. Spesso sono gli stessi giovani a filmare e postare aggressioni nei confronti di soggetti più fragili: alla base c’è una ricerca di consenso rispetto a comportamenti devianti e abusanti. Per alcuni di loro, purtroppo, la violenza diventa un antidoto alla noia. I ragazzi di oggi tendono a “fagocitare” sensazioni e ad “andare veloci”, sono spaventati dal “vuoto” e non sanno gestirlo. Ha un grosso peso in queste situazioni il consumo di droghe, anch’esso in crescita. Si parte dall’assunzione delle cosiddette sostanze leggere, in particolare la cannabis, per affrontare le criticità e gli abbassamenti della tensione del vivere. Per questa generazione centro di tutte le esperienze è il “corpo”. Alla base degli episodi di violenza c’è poi una certa tendenza sub-culturale che propone un linguaggio aggressivo e dei contenuti fuorvianti. In alcune serie tv o brani musicali troviamo una narrazione che quasi “normalizza” la violenza e l’abuso di sostanze, si tratta di stimoli che confondono adolescenti privi di punti di riferimento e che al contempo svuotano di valore e senso la vita umana.
Si parla di mancanza di empatia da parte dei giovani nei confronti degli stessi coetanei e di manifestazioni di insensata crudeltà…
L’empatia fa parte del corredo neuronale di ogni essere umano, ma essa può svilupparsi e arricchirsi soltanto se coltivata in ambito sociale e culturale. A volte l’empatia viene inibita da eventi traumatici, dall’assunzione di droghe e dalla dipendenza da Internet. Se il sistema dei neuroni a specchio non viene alimentato, può entrare in necrosi: si verifica una paralisi del sistema empatico. Nel branco, poi, può verificarsi una sorta di “anestesia collettiva”, questo avviene quando la necessità di essere parte del gruppo è più potente del proprio codice morale. In ogni caso non è opportuno generalizzare, ci sono molti ragazzi fin troppo empatici. Mi riferisco alle persone altamente sensibili (PAS), capaci di entrare in totale fusione emotiva con l’altro.
Ci sono ambienti dove la devianza giovanile e le baby gang attecchiscono più diffusamente?
Si tratta di fenomeni che nascono dal bisogno di “compiacere” e di ottenere visibilità, anche se in negativo. Rispecchiano una modalità deviata di uscire dalla solitudine e rompere la barriera della noia, un vuoto etico interiore e un forte smarrimento di punti di riferimento. Gli ambienti colpiti sono quindi trasversali.
Nei comportamenti devianti dei giovani quanto incidono le lacune educative e le assenze della famiglia e della scuola?
A volte la famiglia è assente, o molto carente. Un ragazzo non ascoltato diventa violento e rabbioso, accumula frustrazione e tende a scaricarla su chi è debole per una sorta di “effetto rispecchiamento”. All’interno delle scuole dovrebbero essere introdotti dei percorsi di educazione e prevenzione, ma non solo nelle attività extracurriculari. Anche all’interno della didattica tradizionale si possono inserire degli spazi di approfondimento su argomenti come l’empatia, la cultura sociale, la solidarietà e la prevenzione alle dipendenze. Occorrerebbe poi maggiore cooperazione tra genitori e personale educativo della scuola.
Esiste un antidoto alla violenza giovanile?
Sì, l’antidoto è nei percorsi educativi ed etici che rendono i giovani capaci di distinguere il bene dal male in un mondo in cui questi concetti vengono confusi e mistificati continuamente. In una società che diventi capace di vincere la paura di “entrare” nella sensibilità dell’altro e di esprimere solidarietà.