“Scuole aperte, si può e si deve fare”: parola di preside
Intervista a Velia Ceccarelli, dirigente di due istituti comprensivi del Lazio: “Non ho firmato l'appello per il rinvio. E' difficile tenere le scuole aperte, ma è necessario. L'intervento dello Stato è tardivo, non ho fatto ferie per preparare il rientro. Ho dovuto acquistare le Fpp2 e provvedere a tante sostituzioni, ma oggi i ragazzi sono qui ed è importante. Il consiglio? All'aperto, il più possibile”
Le vacanze sono finite, le luci natalizie si sono spente e i cancelli delle scuole hanno riaperto. Non tutti, è vero, per via delle ordinanze che, in alcune regioni e comuni, hanno posticipato la riapertura, facendo ripartire intanto da didattica a distanza. E' stato il tema caldo degli ultimi giorni, con migliaia di dirigenti scolastici che hanno firmato un appello in cui chiedevano il rinvio della ripresa dell'attività didattica in presenza. Paura dei contagi, paura anche delle difficoltà organizzative, dovute alle tante assenze di docenti e collaboratori scolastici. Non tutti sono in classe, certo: anche nelle scuole aperte, le assenze sono tante, sia tra insegnanti che tra studenti, a causa soprattutto dei numerosi “positivi”. E non è stato facile, anche questo è certo: tra docenti in quarantena e docenti contagiati, non tutti sono oggi dietro la cattedra. “Ma la scuola deve essere aperta, rinviare significherebbe procrastinare un problema e soprattutto aggravare le conseguenze di quel lockdown di cui i ragazzi portano ancora il segno”. A parlare è Velia Ceccarelli, dirigente dell'Istituto comprensivo Salvo D'Acquisto a Cerveteri e dell'I.c. Santa Marinella.
“Io non ho firmato l'appello dei miei colleghi – ci riferisce – pur essendo d'accordo con la loro denuncia dell'intervento dello Stato sulle scuole. Un esempio: si è deciso che gli insegnanti debbano indossare la mascherina Fpp2, ma le ho dovute comprare io, all'ultimo momento, perché non sono state ancora consegnate. Ancora, si parla di una distanza di due metri a mensa, ma come si fa a rispettare questo requisito? Insomma, è vero che lo Stato non tutela mai la scuola, mentre non è logica la preoccupazione per i contagi in classe. Sono ancora aperti gli stadi, sono aperti i centri commerciali, i ristoranti, i ragazzi possono fare attività sportiva, non c'è niente che sia vietato. E tutto hanno potuto fare durante le feste: mio figlio ha 22 anni e ha trascorso il capodanno con sette amici, tutti con tampone negativo. Ora sono tutti positivi. Questo significa che il contagio avviene soprattutto fuori dalla scuola. E allora perché chiudere le scuole?”.
Qualcuno sostiene che sia troppo complicato tenerle aperte, visto l'elevato numero di assenze tra docenti e personale scolastico.
Certo, ci sono e ci saranno assenze, ma vanno gestite: io oggi ho quattro docenti e 2 Ata assenti qui a Santa Marinella, ma tra cambi turno e supplenze sono riuscita a coprirle. Molto più complessa la situazione a Cerveteri, dove ho 13 insegnanti non vaccinati, che sono in sospensione: ho lavorato durante le vacanze, per trovare le sostituzioni. Ma oggi, qui a Santa Marinella, c'è un bel sole e poco fa i ragazzi facevano educazione motoria all'aperto: si divertivano, erano felici. A me pare giusto così”.
Un ritorno momentaneo alla Dad risolverebbe, per qualcuno, molti problemi, nel momento di picco.
Ma ne creerebbe molti altri, come tanti ne ha creati nei mesi passati. Nel caso dei bambini della scuola dell'infanzia e delle elementari, la Dad fa venir meno un servizio di base, perché senza un genitore accanto, i bambini non riescono a collegarsi. Con i ragazzi a scuola c'è un gran lavoro da fare, soprattutto il tracciamento sarà complicatissimo, con tutte le distinzioni tra vaccinati, prime dosi, seconde e terze dosi. Ma dobbiamo andare avanti, perché i ragazzi portano i segni dei mesi del lockdown.
Quali segni?
I segni di un danno sociale e culturale importante: una significativa regressione degli apprendimenti, soprattutto, e un calo drastico nell'attitudine all'impegno. Soprattutto i bambini che sono passati quest'anno alla secondaria di primo grado, stanno facendo una grande fatica, perché sono usciti dalla quinta dopo un anno in cui non hanno consolidato gli apprendimenti e si sono trovati catapultati in una situazione nuova, senza accompagnamento e continuità. Per non parlare degli studenti con disabilità, che sono mortificati da ogni forma di restrizione: sarebbe gravissimo ritorno alla Dad per loro, che hanno bisogno di tutto tranne che della distanza. C'è anche stato un generale e pericoloso abbassamento della richiesta: l'esame di maturità, per esempio, è diventato molto più semplice, con una sola prova orale su un tema scelto e preparato. I ragazzi, tra loro, si domandano: 'Hai preso 100 covid o 100 normale?'. E' ora di tornare ad alzare l'asticella, o ci troveremo con adulti poco istruiti e mal preparati per il mondo del lavoro. E poi la didattica a distanza fa perdere ai ragazzi la cognizione del tempo e rende più faticoso fare le cose. Anche gli atteggiamenti sociali sono peggiorati. Eppure, riceviamo ancora tante richieste di attivazione della Dad, anche da parte di genitori, perché per alcuni è meglio così. Ma noi non possiamo accettarlo: lo studio individuale non è la costruzione collettiva della conoscenza. Se ai tempi di Socrate sono nate le scuole e ancora esistono, è perché la conoscenza non si può costruire da soli.
Cosa consiglierebbe ai colleghi che manifestano tanta preoccupazione per la riapertura?
Innanzitutto, la scuola all'aperto. I miei istituti fanno parte della Rete scuole pubbliche all'aperto: le classi dell'Istituto di Cerveteri, per regolamento, escono due volte al giorno e ci sono docenti che fanno sempre lezione all'aperto. Fa freddo? Basta coprirsi. Il freddo fa parte della natura e imparare a vestirsi nel modo giusto è una conquista importante. Noi abbiamo ripreso anche le uscite didattiche: dall'inizio dell'anno, siamo stati al Castello di Santa Severa, all'oasi di Macchiatonda, in biblioteca... Insomma, si può fare! E si deve fare.