Scuola in carcere, Palma: “Il diritto allo studio va tutelato anche in emergenza”
Con il blocco dovuto alla pandemia, in pochissime carceri è stata attivata la didattica a distanza: nella maggior parte dei casi, ai detenuti viene spedito solamente il materiale cartaceo, a volte neanche quello. L’appello del Garante nazionale: “I percorsi scolastici sono fondamentali, soprattutto in un luogo come il carcere”
“Non è possibile che si sia fatto un grande lavoro per investire sulla cultura, sull’istruzione, veicolo del reinserimento sociale, e poi venga trascurata l’effettività di questa possibilità durante l’emergenza. Il diritto allo studio della popolazione carceraria deve continuare ad essere tutelato”. Il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma denuncia la situazione negli istituti penitenziari italiani, dove dalla fine di febbraio è vietato l’ingresso ai docenti e ai volontari, oltre che ai familiari, con lo scopo di proteggere la comunità interna dal rischio di contagio da coronavirus. Da quel momento, solo pochissimi istituti penitenziari hanno messo a disposizione strumenti per la didattica a distanza, con l’uso di videoconferenze e lezioni online. Quasi la metà delle scuole si è limitata a inviare agli studenti materiale cartaceo, come libri o fotocopie, mentre un’altra gran parte non è riuscita ad assicurare nemmeno quello.
“Ovviamente organizzare la didattica a distanza in carcere non è una cosa semplice, questo lo sappiamo – commenta Palma –. Però bisogna quantomeno provare a trovare soluzioni: tale situazione sta comportando la lesione del diritto allo studio, in taluni casi con l’interruzione del percorso scolastico. Non occorre certamente dire quanto i percorsi scolastici e formativi siano importanti, soprattutto in un luogo come il carcere, la cui finalità sarebbe proprio quella rieducativa. Chiediamo quindi che il governo si impegni a elaborare un piano specifico riguardo l’istruzione dei luoghi di detenzione durante l’emergenza: la quarantena durerà ancora, non sappiamo quanto, e allora non possiamo continuare così”.
Oggi i percorsi d’istruzione riguardano circa un terzo della popolazione carceraria, con quasi mille persone detenute iscritte a corsi universitari. Per chiedere soluzioni concrete, il Garante ha inviato una lettera al ministro dell’Istruzione, al ministro dell’Università e ricerca e a quello della Giustizia. “Pur comprendendo la complessità del momento che sta vivendo il Paese, il governo deve mettere anche questo tema nel paniere delle questioni da affrontare – afferma Palma –. A tutti dev’essere garantito il diritto di completare il proprio anno scolastico e di sostenere gli esami di stato, quelli universitari e le sessioni di laurea, attraverso le tecnologie che abbiamo a disposizione. Negli istituti penitenziari serve la disponibilità di computer e tablet, accesso a banche dati e offerta tutoriale attraverso video conferenze, prevedendo la modalità di videochiamata anche per colloqui e esami”.
Nel frattempo, anche i docenti che insegnano nelle scuole in carcere si interrogano su come proseguire il proprio lavoro e continuare così a garantire ai loro studenti le lezioni, pur non avendo la possibilità di svolgere la didattica a distanza. In un appello della Rete delle scuole ristrette, Anna Grazie Stammati, insegnante nel carcere di Rebibbia e presidente del Centro studi per la scuola pubblica, scrive: “Noi docenti dei percorsi di istruzione nelle carceri non solo non riusciamo a fare didattica a distanza ma, al massimo, riusciamo a far arrivare qualche fotocopia ai nostri alunni e neppure dappertutto. Da un mese, in moltissimi istituti penitenziari non c’è più alcun contatto tra docenti e studenti. Noi, che nella nostra quotidiana azione di insegnamento dovremmo ridurre e combattere il divario sociale, oggi a quale compito siamo chiamati, qual è il nostro ruolo?”