Rsa, la rivoluzione toscana: “Il Terzo settore nelle residenze per anziani”

Intervista all’assessora al sociale Serena Spinelli: “Metteremo a sistema il patrimonio di attività portate avanti da associazioni nelle strutture”. E poi: “Dobbiamo differenziare le Rsa in base alla tipologia di persone”

Rsa, la rivoluzione toscana: “Il Terzo settore nelle residenze per anziani”

“Le Rsa non devono diventare luoghi di mera “custodia”, dove le persone sono allettate e dove sostanzialmente si trattano le cronicità gravi. Il loro ruolo non è quello di essere dei mini reparti di geriatria, ma devono restare degli spazi aperti alla comunità e al territorio”.
Con queste parole l’assessora toscana alle politiche sociali Serena Spinelli spiega la rivoluzione dei servizi domiciliari in Toscana.

Assessora Spinelli, come si intende cambiare le Rsa?

“Con il coinvolgimento dei servizi sociali e sanitari del territorio e del terzo settore. Se da un lato è necessario, e il Covid purtroppo ce lo ha confermato, che siano rafforzati strumenti e competenze per una migliore assistenza sanitaria, al tempo stesso non si devono perdere, ma bensì implementare, le funzioni di risposta a bisogni sociali”.

Si parla di animazione, attività motorie, ingresso di associazioni. Cosa si intende fare nel concreto?

“Nel concreto si tratta di avviare i percorsi e i tavoli di confronto previsti dalla Delibera 843 che abbiamo approvato ad inizio  agosto. E che prevede appunto il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza dei percorsi di presa in cura delle persone anziane non autosufficienti. E che coinvolgeranno tutti i soggetti attivi e gli attori del sistema in un complesso e articolato percorso di revisione del sistema. Rispetto agli esempi citati, abbiamo un prezioso patrimonio di attività portate avanti da associazioni o da enti del terzo settore, si tratta di metterle a sistema e di integrarle nel sistema. Non credo che ci sia molto da discutere, però, rispetto al fatto che attività di animazione, di stimolo e mantenimento delle capacità intellettive e relazionali, così come di quelli legati all’attività motoria, sia elemento che favorisce una migliore qualità della vita”.

Come si intende cambiare il modello organizzativo delle Rsa nella pratica?

“Già  oggi le Rsa toscane prevedono un sistema modulare che oltre ai moduli base per persone non autosufficienti, prevede moduli cognitivo-comportamentali, moduli motori e moduli per stati vegetativi. Quello che dobbiamo fare è rafforzare questo modello e rendere questi moduli più efficaci, per esempio implementando per ciascuno di essi il numero e raggruppandoli all'interno della stessa struttura in una organizzazione appunto modulare. Ovviamente c'è da lavorare molto sull'organizzazione e sulla formazione del personale, soprattutto in un'ottica di integrazione e motivazione”.

Nella delibera si parla di un nuovo modello di Rsa che potrebbe prevedere una differenziazione delle strutture per tipologia di utenza. Possiamo fare un esempio?

“Come dicevo prima, non tutti siamo uguali, anzi, in realtà siamo tutti diversi. Lo stesso vale per le persone anziane e non autosufficienti. Le risposte standardizzate fanno parte di una visione del sistema sociosanitario che non è più attuale: possiamo dare servizi di qualità, ma se non sono calibrate sulla persona, se non mettono la persona al centro, con il suo insieme di bisogni, diritti, aspettative e desideri, se le risposte non riescono ad integrarsi, non avremo costruito un sistema davvero efficace, vicino ai cittadini, di presa in cura complessiva delle non autosufficienze. L'idea di differenziare le strutture potrebbe dare una migliore risposta ai cittadini ma anche andare incontro alle esigenze delle strutture, che lamentano spesso una distanza abissale fra il modello organizzativo di partenza e la gravità delle persone che sono ospitate in struttura. Ovviamente si tratta di una ipotesi tutta da verificare con i servizi e con coloro che gestiscono e operano nelle strutture”.

E’ previsto un costo per il progetto di trasformazione delle Rsa?

“Il progetto non ha di per sè un costo: molte delle azioni contenute in delibera sono attivabili immediatamente e fanno parte del Dna dei nostri servizi e dei nostri operatori. Il costo vero è rappresentato dalle risorse umane che saranno chiamate, come nostra abitudine, a proporre e condividere un modello che deve rispondere prima di tutto alle esigenze dei cittadini e degli operatori. Alcune azioni di sistema avranno ovviamente dei costi diretti o indiretti che potremo affrontare con una attenta programmazione non solo delle risorse sanitarie, per una migliore programmazione e integrazione degli interventi di presa in carico, ma anche di quelle provenienti dall'Unione europea sia attraverso i fondi strutturali che il PNNR”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)