Roma, il “ristorante dei poveri” a Sant’Eustachio avrà anche una “Casa della misericordia”
Sabato 22 settembre sarà inaugurata in pieno centro di Roma, nei locali della basilica di Sant'Eustachio, la "Casa della misericordia" con servizi per persone senza fissa dimora e famiglie fragili. Una nuova iniziativa che si aggiunge al "ristorante dei poveri" che da cinque anni, ogni giorno, organizza il rettore della basilica mons. Pietro Sigurani
Il pranzo “stellato” dei poveri nel centro di Roma, tra i palazzi istituzionali, è a Sant’Eustachio. Tutti i giorni tranne la domenica, da cinque anni, si ritrovano lì, proprio davanti all’antica basilica intitolata al martire Eustachio, vissuto tra il I e II secolo d.c.. Come il “pagano” Eustachio, prima di convertirsi, accoglieva i poveri insieme alla moglie e ai due figli, così oggi mons. Pietro Sigurani, rettore della basilica omonima, organizza ogni giorno il “ristorante dei poveri” davanti all’ingresso della chiesa. Da un lato c’è il Senato, dall’altro piazza del Pantheon. “All’inizio i vicini erano diffidenti – racconta –. Io ho detto ai poveri: questo è un posto difficile, comportiamoci bene. Dopo un anno è venuto il presidente dell’associazione di quartiere per chiedermi scusa e ringraziarmi”.
Dal 22 settembre, festa di Sant’Eustachio, chi passa al “ristorante” avrà in più anche uno spazio raccolto dove prendere il caffè, parlare dei suoi problemi al Centro d’ascolto, fare la doccia, lavare gli abiti e partecipare ai vari corsi dell’“Università degli scartati”. Nei locali sotto alla basilica – “prima era una topaia”– sarà inaugurata alle 19 (il 22 settembre) la “Casa della misericordia”, alla presenza di mons. Gianrico Ruzza, vescovo ausiliare di Roma Centro. “Tutto è stato realizzato solo con donazioni. Ci aiutano i miei ex alunni, medici, professori, avvocati. Viviamo di carità, non vogliamo contributi statali”, precisa mons. Sigurani. Uno dei finanziatori è Papa Francesco, che tramite il suo elemosiniere ha donato 15.000 euro. Lo scorso Giovedì Santo il rettore di Sant’Eustachio era infatti a pranzo dal Papa – “abbiamo la stessa età” – e gli ha raccontato il suo progetto.
Sui tavoli non mancano fiori e posate di metallo, i commensali si siedono a mangiare a turni di 40 ma i volontari possono servire almeno 120/130 pasti completi. A nessuno si nega un piatto, nemmeno a chi passa per caso. Se non c’è posto qualcuno mangia sulle panche all’interno della chiesa. Nella cappella di San Michele viene disposto il cibo che arriva da un catering esterno.
Fuori, tra il portone della chiesa e le sbarre di ferro che separano dalla piazza del caffè più famoso di Roma, c’è un clima festoso: un pranzo tra amici che apprezzano piatti gustosi.
Qui si mangia bene e si vede. Nessuno vuole farsi fotografare ma tra i commensali ci sono nobili decaduti, migranti di vecchia data e nuovi arrivi, rom, tantissimi italiani che vivono in strada, sotto il colonnato di San Pietro, nei dormitori della Caritas o delle Suore di Madre Teresa di Calcutta. Uomini, donne, di tutte le età. Cristiani, musulmani, atei, ogni credo è accolto. Hanuar, marocchino che parla con accento lumbard, è in Italia dal Novanta. “Prima lavoravo in un maneggio, poi mi hanno trattato male e mi sono ritrovato in strada”. Ha dormito per un mese sotto le colonne di San Pietro, ora ha almeno un letto all’ostello Caritas di via Marsala. Sta facendo un lungo percorso di conversione dall’islam al cristianesimo. Slim invece è un giovane tunisino. “Sono entrato in Italia anni fa con un volo aereo quando era ancora possibile”. Oggi ha un regolare contratto di lavoro e coordina il “ristorante dei poveri”. Altri suoi connazionali danno una mano a preparare e pulire.
I volontari escono dalla chiesa con teglie di melanzane alla parmigiana fumanti. “Chi vuol fare il bis?”. Mons. Sigurani ci tiene a inserire nel menù quotidiano “dolce, frutta e caffè”.
“Perché un piatto di pasta fa bene allo stomaco, il dolce invece fa bene al cuore”.
Poi ci porta a visitare la “Cappella degli scartati”, a sinistra dell’altare maggiore. Alle pareti ha fatto dipingere affreschi sui “milioni di scartati frutto amaro delle tre ideologie: marxismo, nazismo e capitalismo” ma anche sugli “scartati del consumismo e dell’indifferenza”, come “quelli del mare, che gli Stati cristiani non vogliono accogliere”. All’ingresso ci sono le “litanie degli scartati”: “Per me sono loro i veri santi, questo l’ho imparato da Papa Francesco”.
Ai nuovi locali sotterranei della “Casa della Misericordia” si accede dalla via laterale che affaccia proprio sul retro del Senato della Repubblica. Senatori, portaborse e dipendenti in giacca e cravatta vanno e vengono indaffarati. “Ma solo due o tre i politici ci aiutano”, confida mons. Sigurani. I lavori sono ancora in corso, il 22 settembre si festeggerà la parte già ultimata: sala caffè, centro d’ascolto, sala per i corsi.
Il 18 novembre, Giornata mondiale dei poveri, sarà inaugurata anche la sezione docce e lavanderia.
All’ingresso il nome della casa è tradotto in diverse lingue, tra cui arabo e russo. “Per me il termine straniero non esiste – sottolinea -. Siamo sempre stranieri rispetto a qualcun altro”. In una nicchia a destra ha fatto dipingere Sant’Eustachio con la famiglia. Sotto ci sono le firme dei poveri. “L’Università degli scartati” è dedicata a Giulia Carnevale, la ragazza morta sotto le macerie della Casa dello studente durante il terremoto dell’Aquila. Sabato 22 settembre verranno i genitori ad inaugurarla. “Faremo corsi di italiano, di inglese, ci sono computer a disposizione per contattare le famiglie. Tutto ci è stato regalato”. Costo totale dei lavori di ristrutturazione: 290.000 euro. Per fortuna le suppellettili – la macchina del caffè con le cialde, i computer, i tavoli, le sedie – sono stati donati da aziende generose ma “finora abbiamo pagato solo la metà. Bisogna avere fiducia. Bisogna vivere. I soldi arriveranno”. Mons. Sigurani è un veterano della carità, già da decenni ha organizzato mense e servizi per i poveri come parroco della Natività di Gesù a via Gallia: “Molti li conosco da tempo ma c’è un turn over. I volontari non mancano mai. Dopo aver servito a tavola si siedono a mangiare lo stesso cibo dei poveri”.
Il suo amore per gli ultimi ha radici antiche. “Se non sei stato povero non puoi capire la povertà – racconta -. Oggi gli italiani si sono imborghesiti. Io vivevo nel quartiere San Lorenzo, avevo 8 anni quando hanno bombardato. Siamo usciti dal rifugio e al posto di casa nostra c’era un cratere. Poi le bombe hanno ucciso mio padre. Con mia madre e mia sorella siamo stati sfollati per tanto tempo. Ci hanno mandato a dormire nello spogliatoio di una piscina al Tiburtino III, era un macello…”. Oggi fa ogni giorno 80 scalini a piedi per riposare nella sua stanza in cima alla torre medievale del complesso di Sant’Eustachio. Le sue giornate “per riportare i poveri al centro dello Stato e dare dignità a chi ne è privato” sono lunghe e impegnative, sempre piene di sfide nuove.