Rimini: chi è Jamil Sadegholvaad, il primo sindaco di un capoluogo di origine straniera
Di origini iraniane ma riminese doc, il candidato del centrosinistra che ha vinto le comunali al primo turno punta su tre questioni: la transizione ecologica, la digitalizzazione e la rigenerazione del patrimonio edilizio scolastico. “La mia città, 60 anni fa come oggi, ha un alto livello di tolleranza e comprensione delle diversità”
Di origini iraniane ma riminese doc, punta su tre questioni: la transizione ecologica, la digitalizzazione e la rigenerazione del patrimonio edilizio scolastico. È il neoeletto sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, che alle amministrative del 3 e 4 ottobre si era candidato con la coalizione di centrosinistra, ottenendo il 51,3 per cento dei voti e vincendo così al primo turno. Nato da padre persiano (e musulmano) e mamma di Coriano, sin dall’adolescenza Jamil ha affiancato i genitori nella gestione dello storico negozio di tappeti in via Dante, lì da 43 anni. Poi si è laureato a Bologna in Scienze Politiche. Dal 2009 al 2011 è stato assessore per la Provincia di Rimini, dal 2011 al 2016 assessore del Comune di Rimini con il sindaco Gnassi con delega alle attività economiche, e dal 2016 ad oggi con delega aggiuntiva ai lavori pubblici. E oggi è il è il primo sindaco di un Comune capoluogo di origine straniera.
Quali sono le maggiori sfide che la sua giunta dovrà affrontare nei prossimi anni?
Tre principalmente: i progetti legati ai fondi del Pnrr, soprattutto inerenti la transizione ecologica, la digitalizzazione e il decentramento dei servizi comunali, e la rigenerazione di tutto il patrimonio edilizio scolastico. Quindi un’inversione di rotta sul fronte dei servizi al cittadino, non solo comunali (penso a quelli sanitari), negli ultimi 30 anni schiacciati pressoché esclusivamente sulla ‘metropolizzazione’ degli stessi, con tutte le loro inadeguatezze emerse durante la pandemia. Occorre tornare a una dislocazione e a una distribuzione omogenea dei servizi primari, anche in relazione al contrasto alla desertificazione e all’alienazione delle periferie e delle aree collinari. Infine il ruolo del Comune, sempre meno invasivo e accentratore e sempre più orientato a sostenere e a accompagnare le forze della comunità e dell’imprenditoria sana. In questo senso la prima cosa da fare è abbattere il muro della burocrazia, diventato purtroppo ancora più robusto negli ultimi 15 anni.
Rispetto alla questione ambientale, che misure metterà in atto il Comune per affrontare la crisi climatica?
Dal 2010, Rimini è tra i pochi Comuni italiani ad avere un piano strategico. Non è una medaglia da appendersi al petto, ma uno strumento di visione e di organizzazione insostituibile. Questo ci ha già permesso di gestire, affrontare e risolvere alcuni dei problemi cronici di una realtà particolare come la nostra, non a caso l’unica in Italia a ‘meritare’ un suo spazio nel vocabolario italiano con un termine negativo: riminizzazione. Con il piano strategico abbiamo pressoché scelto di azzerare il consumo di nuovo territorio, incentivando il riuso del costruito; abbiamo recuperato aree e luoghi abbandonati di degrado trasformandoli in presidi culturali (il teatro, la piazza sull’acqua al ponte di Tiberio); abbiamo impostato un nuovo tipo di mobilità, raddoppiando i km di piste ciclabili e dando impulso al trasporto pubblico lungo la linea costiere con il Metromare; stiamo rifacendo l’intera rete fognaria per un investimento complessivo di oltre 200 milioni di euro. Ma è nella pedonalizzazione e rinaturalizzazione del fronte mare lungo 13 km che abbiamo giocato la carta più importante: abbiamo tolto asfalto, smog, lamiere vista spiaggia con una fascia caratterizzata da verde, servizi sportivi, spazi per relazione. Il parco del mare affronta già il tema del climate change: le parti già realizzazione assumono il tema delle cosiddette ‘ingressioni marine’, e cioè il potenziale pericolo per l’abitato a fronte di un incremento del livello del mare. La nostra lotta ai mutamenti climatici avverrà sempre attraverso lo strumento della pianificazione strategica e non con azioni spot, o peggio di sola visibilità mediatica.
Dopo la lezione della pandemia, come andare nella direzione dell’eliminazione del digital divide e verso un più forte sviluppo del digitale?
Semplice: trasformare il dibattito sul digitale nell’opportunità di servizi che migliorano la nostra quotidianità. Ad esempio: perché devo prendere l’auto, farmi 10 chilometri, recarmi in città all’anagrafe imbottigliandomi e imbottigliando ancora di più il traffico, se posso tranquillamente scaricare quel documento o consultarlo da casa? Ma semplice non vuol dire facile: nel pubblico quella che è una operazione consueta e normale, allorché acquistiamo un prodotto online, diventa una specie di via crucis fatta di password, questionari, maschere interattive da compilare senza alcuna soluzione di continuità. Il tema di fondo è allora culturale: le istituzioni non si fidano del cittadino e viceversa. Questo ha creato un meccanismo infernale in cui il rispetto della procedura schiaccia l’efficienza e la rapidità della risposta. Se il Pnrr deve indicarci una nuova frontiera, è proprio qui che dovrebbe essere calato. In questo scenario il digital divide diventa un problema prioritario: uguale accesso ai servizi online diventa democratico accesso ai servizi primari. Si tratta appunto di un tema di uguaglianza e democrazia: se ho linee scadenti ho servizi scadenti, e la qualità della mia vita scende di livello rispetto a chi abita dall’altro lato della strada.
Quali misure prevede per supportare la fascia più fragile della popolazione?
Il Comune deve supportare, accompagnare, sostenere. Le famiglie, le imprese, chi è in difficoltà. La scuola è uno dei settori dove le istituzioni devono colmare gap e molti peccati, compresi i più recenti che vedono l’Italia al primo posto in Europa per giornate di lezioni scolastiche saltate causa Covid. Dobbiamo ripartire dall’educazione, cercando (anche un po’ disperatamente) di colmare un vuoto che certamente si farà sentire in quella che già alcuni sociologi chiamano ‘generazione Covid’. Gli asili gratuiti in maniera progressiva, e cioè secondo reddito, hanno una funzione di aiuto sociale (per chi è in difficoltà finanziaria) e di incentivo a tornare alla normalità della frequenza a una scuola materna, dopo il ciclone degli ultimi due anni. È un intervento che si inserirà in un programma più vasto di riorganizzazione del servizio intorno alla fotografia di società attuale: gli orari della città, in cui devono coincidere le esigenze lavorative di giovani famiglie che non hanno il supporto genitoriale con lo svolgimento del servizio scolastico; i criteri di accesso ai nidi e alle materne che devono sempre più considerare adeguatamente, nei punteggi, forme di lavoro che 10/15 anni fa neanche esistevano. Sulla casa abbiamo lo stesso approccio: sistemiamo con un finanziamento straordinario il patrimonio edilizio che abbiamo, ma dobbiamo contemporaneamente incrementare quel patrimonio. La strada ce la indicano alcune iniziative di rigenerazione urbana avviate, l’ex Mercato Ortofrutticolo e l’area di via Roma: in questi due casi sono previste quote di edilizia popolare, e questo è un metodo che mi interessa perché mutua l’esempio positivo di alcune località del Nord Europa in cui il tema della rigenerazione delle città, che vuol dire riqualificare quello che già c’è e non consumare nuovo territorio, si abbina anche a esigenze sociali e di socialità, in quartieri moderni, efficienti, serviti da fonti energetiche alternative.
Sul tema immigrazione e integrazione, a che punto è la città? Cosa si potrebbe fare di più per coinvolgere maggiormente le nuove generazioni?
Non mi piace sottolinearlo, ma già la mia è una storia di immigrazione e integrazione che ha funzionato. Al di là di tutto, il merito è di una città che, 60 anni fa come oggi, ha un alto livello di tolleranza e comprensione delle diversità. Io sono nato a Rimini e ho fatto tutto il percorso scolastico qui, dalle scuole al liceo. La scuola è la base di tutto: è istruzione, è conoscenza, è socialità, è confronto. Investire sulla scuola vuol dire programmare il futuro. Guardi, tra poche settimane inaugureremo la nuova scuola Ferrari in una parte di città che in passato ha avuto anche qualche episodio di tensione tra componente residente e componente straniera. Quella è una scuola frequentata da tanti bambini figli di immigrati, seconde generazioni. Il Comune di Rimini ha investito cinque milioni di euro sulla rigenerazione di questo spazio, considerandolo non solo un insieme di aule, ma il centro motore di un nuovo modo di guardare e pensare alla città. Io di fondo credo che una città bella, che ha spazi dignitosi, che distribuisce uniformemente i suoi servizi, è una città che già è ben piazzata nella guerra alla discriminazione e a quella solitudine figlia del distacco con il luogo in cui vivi, che poi dà origine a tante situazioni collettive esplosive. Poi c’è la cultura, c’è lo sport, ci sono le iniziative di sensibilizzazione e di testimonianza. Ma è la città e non solo un assessorato a doversi fare carico del tema.
C’è un episodio che secondo lei è simbolo di come, anche nei momenti di difficoltà, Rimini si dimostri comunque una città aperta?
Cito un episodio che mi ha molto colpito nelle ultime settimane: il folle comportamento di un cittadino somalo che, senza ragione, a settembre ha accoltellato un bimbo e altre persone proprio nella nostra città. Lì si sono semanticamente scontrate due forme di approccio al problema. Da una parte uno straniero che da due anni gira senza pace nei paesi di mezza Europa, con la sua rabbia, la sua follia latente, appoggiato involontariamente dalle burocrazie (e da un evidente scaricabarile) da molte istituzioni continentali. Dall’altra il bambino accoltellato, e la sua famiglia, anch’essi immigrati e occupati in una industria della nostra provincia. La nostra sanità prima di tutto, poi i servizi sociali, quindi la vicinanza immediata delle istituzioni (penso al sindaco Gnassi e all’assessore Frisoni che sono stati notti intere insieme alla famiglia nelle ore disperate in cui il loro figlio veniva operato) hanno consentito alle vittime di tornare alla vita e di tornare a sentirsi cittadini di Rimini, dell’Emilia Romagna. Il bambino, Tamin, pochi giorni fa è tornato a scuola. E allora tutto torna: la scuola, la tolleranza, i servizi, noi.
Alice Facchini