Proteste sociali in Cile: ecco cosa succede nel Paese. Parla il gesuita padre Jorge Costadoat
“Nessuno può prevedere quello che succederà nei prossimi mesi”. Non vede facili vie d’uscita, per il Cile che da tre mesi è bloccato dalla protesta, il gesuita padre Jorge Costadoat, direttore del Centro Teologico Manuel Larraín, teologo e da anni coscienza inquieta, all’interno della Chiesa e del mondo culturale cileno, ma molto ascoltata anche nel resto del Continente. Il 2020 è iniziato com’era finito il 2019. Le manifestazioni continue, le violenze degli “incappucciati”, che spesso rivolgono le loro attenzioni alle chiese (il 4 gennaio è stato bruciato il tempio di Santiago dedicato a san Francisco de Borja e assegnato al corpo dei Carabinieri). Le accuse di repressione violenta da parte dei cittadini manifestanti. Intanto, il mondo politico non trova unità d’intenti per proseguire nel cammino verso una nuova Costituzione
“Nessuno può prevedere quello che succederà nei prossimi mesi”. Non vede facili vie d’uscita, per il Cile che da tre mesi è bloccato dalla protesta, il gesuita padre Jorge Costadoat, direttore del Centro Teologico Manuel Larraín, teologo e da anni coscienza inquieta, all’interno della Chiesa e del mondo culturale cileno, ma molto ascoltata anche nel resto del Continente. Il 2020 è iniziato com’era finito il 2019. Le manifestazioni continue, le violenze degli “incappucciati”, che spesso rivolgono le loro attenzioni alle chiese (il 4 gennaio è stato bruciato il tempio di Santiago dedicato a san Francisco de Borja e assegnato al corpo dei Carabinieri). Le accuse di repressione violenta da parte dei cittadini manifestanti. Intanto, il mondo politico non trova unità d’intenti per proseguire nel cammino verso una nuova Costituzione.
Una crisi anche educativa. Per padre Costadoat alla base di questa paralisi c’è un insieme di concause: “Gli elementi sono molteplici – ci dice -. Se guardiamo alla genesi delle proteste, esse hanno avuto una connotazione femminista, legata ai diritti delle donne. Oppure, ci sono state le marce degli indigeni mapuche. Poi, però, si è aggiunto l’elemento economico. Vent’anni di crescita hanno alzato di molto il livello della classe media e le sue aspettative, ma creato una grande diseguaglianza. A questo aggiungiamo i comportamenti ingiusti di molti imprenditori, le paghe basse, la corruzione, il costo della vita”. Ma, da solo, il fattore economico, non spiega quanto sta accadendo in Cile: “Viviamo anche una crisi della gioventù. Le nuove generazioni non sanno cosa significhi avere la libertà rispetto all’esserne privi, non hanno memoria della dittatura, crede di poter fare tutto, non conoscono limiti”.
E a questo si aggiunge un ulteriore elemento: “La grande sfiducia nelle Istituzioni, una critica generalizzata che investe la Politica e non solo, pensiamo anche alla Chiesa”.
Paralisi economica. Per padre Costadoat è preoccupante soprattutto, in questo momento, la situazione di paralisi: “L’economia è ferma, difficile rispondere, in questo modo, alle grandi attese di cambiamento, se i dati macroeconomici sono tutti negativi”. A tutto questo si aggiungono le situazioni di violenza, provocate sia dalla repressione delle forze dell’ordine che dai cosiddetti “incappucciati”: “Ormai è chiaro – prosegue il gesuita – che ci sono state violazioni di diritti umani. In parte ciò è dovuto anche al fatto che la polizia non era preparata e ha svolto male il suo lavoro. Dall’altra ci sono gruppi anarchici, che manifestano rabbia e aggressività. A mio avviso si è trattato di un ricorso alla violenza nato spontaneamente e per certi aspetti questo è un problema, perché non ci sono interlocutori. Così, il conflitto sociale si mescola al conflitto violento e paradossalmente le vittime sono state perfino poche: 26, in maggioranza a causa di incendi nei saccheggi. Potremmo dire che è un conflitto molto forte ma senza armi che uccidono, anche se si sa che i pallini di gomma sparati dalla Polizia hanno privato della vista molte persone”.
Clima di feroce antipolitica. L’incertezza è condivisa anche da un docente universitario italiano che insegna scienza politica all’Università cattolica del Cile, Giovanni Agostinis, collaboratore tra l’altro dell’Ispi, l’Istituto di politiche internazionali. “Non mi stupisce – dice al Sir – che le manifestazioni stiano proseguendo. Negli ultimi anni il modello economico non è mai stato messo in discussione. Un precedente tentativo di consulta popular, avviato dalla precedente presidente, Michelle Bachelet, non ha prodotto risultati. Diciamo che nessuno vuole ‘farsi fregare’, questo spiega il clima di feroce antipolitica, che non sta premiando alcun partito, neppure la sinistra del Frente Amplio”. Lo stesso dibattito sulla nuova Costituzione è ancora nebuloso: “In generale, il cammino sarà lungo, difficile affrontarlo in questa situazione, che ormai è anche di recessione economica. Finora la politica ha mostrato incapacità di interpretare e ascoltare, è lontana anni luce dalla vita della gente.
Il meccanismo pensato per la Costituente è macchinoso, si prevede un referendum d’entrata e poi uno di conferma. Per il primo dei due è stata prevista una soglia altissima, i due terzi dell’elettorato. Si dovrà decidere se si vuole la Costituente e come l’assemblea sarà composta: se soltanto da esponenti della società civile o anche da politici. Ma è difficile liberarsi delle macchine politiche”. Agostinis spiega anche le ragioni della violenza, che continua a manifestarsi: “Da una parte i carabinieri, in alcuni momenti, hanno avuto una gestione inquietante, l’ho visto con i miei occhi.
Dall’altra la protesta si auto-alimenta, ci sono molti giovani che non hanno nulla da perdere, molte persone sono indebitate fino al collo. Qui, anche storicamente c’è una cultura dello scontro molto forte, che coinvolge anche i miei stessi studenti. Tra i gruppi più violenti ci sono certamente estremisti di sinistra e anarchici.
Credo che in questi settori si possano anche immaginare legami internazionali, anche se non condivido la teoria che ci sia dietro il Venezuela. Ma tra i violenti ci sono anche altre realtà: le curve degli stadi e gruppi criminali e del narcotraffico, che hanno tutto da guadagnare da una situazione di caos”.
Tante chiese bruciate. Molti, in questi mesi, gli attacchi alle chiese: “Si è trattato però di episodi diversi tra loro – dice padre Costadoat -. A mio avviso non sono stati attacchi sistematici, il punto è che è molto facile bruciare una chiesa, si tratta di luoghi di facile accesso, senza controlli. Poi, certo, al di là di tutto questo, la società è stata molto colpita dagli episodi di abusi commessi in ambito ecclesiale e dobbiamo dire che negli ultimi decenni spesso la gerarchia non ha comunicato con i fedeli. Ha parlato molto di morale sessuale e ora questo diventa un boomerang, di fronte agli scandali”. Difficile dire, se questa situazione rappresenti per la Chiesa un’opportunità: “La sua voce si sente poco, anche perché i mezzi di comunicazione non le danno spazio. Oltre ai comunicati, alle parole, servono anche gesti forti, come vediamo da Papa Francesco. Dal basso, però, vedo che in ambito ecclesiale si stanno organizzando molte assemblee popolari, si discute sul futuro e si promuovono iniziative di solidarietà”.