Prezzi bassi, costi alti. L’agricoltura vive un momento di tensione sui mercati, ma ha la possibilità di rilanciare ancora il suo ruolo
Il tema del rincaro dei costi delle materie prime può, tuttavia, diventare ancora più pesante rispetto ad oggi e soffocare numerose imprese agricole che non sono in grado di “cambiare fornitore” come invece può fare l’industria.
I prezzi dei prodotti alimentari diminuiscono, i costi della produzione agricola aumentano. Non è la prima volta. La deflazione al consumo e l’inflazione alla produzione, tuttavia, sono i segnali di quanto l’agricoltura continui – nonostante tutto -, ad essere esposta non solo alle vicende del clima ma anche a quelle dei mercati sui quali le imprese agricole hanno ancora mezzi scarsi di manovra.
A mettere in fila i numeri che servono per capire, ci hanno pensato i coltivatori diretti. In giugno, i prezzi degli alimentari sono diminuiti dello 0,7% su base annua in controtendenza rispetto all’andamento generale (analisi su dati Istat). Mentre i costi di produzione sono cresciuti spesso con percentuali a due cifre. A crescere più di altri pare siano stati i costi energetici e quelli per l’alimentazione degli animali nelle stalle con il mais che registra +50%, la soia +80% e le farine di soia +35% rispetto allo scorso anno. Far quadrare i conti, in altri termini, continua a non essere cosa semplice per gli agricoltori.
Condizione che ha del paradossale se si pensa che, quasi nello stesso periodo, il comparto alimentare italiano ha fatto registrare un andamento da primato che è stato classificato come “storico” con esportazioni che sono arrivate ad un valore di quasi 17 miliardi nei primi cinque mesi del 2021. Detto in valori percentuali, da gennaio a maggio 2021 le vendite all’estero sono cresciute dell’8,9%. Una condizione che segue, tra l’altro, le buone prestazioni registrate in tutto il 2020 nonostante la pandemia. E si attende nei prossimi mesi – dice la Coldiretti – l’impatto positivo sulle vendite all’estero della vittoria agli europei di calcio che hanno dato prestigio all’immagine del Made in Italy.
Il tema del rincaro dei costi delle materie prime può, tuttavia, diventare ancora più pesante rispetto ad oggi e soffocare numerose imprese agricole che non sono in grado di “cambiare fornitore” come invece può fare l’industria. Da qui l’indicazione delle organizzazioni agricole e in particolare di Coldiretti. Serve responsabilità, viene spiegato con insistenza, e cioè occorre un “patto etico di filiera” che “garantisca una adeguata remunerazione dei prodotti agricoli e punti a privilegiare sugli scaffali il Made in Italy a tutela dell’economia, dell’occupazione e del territorio”. La strategia, in altri termini, non è tanto quella di comprimere i costi (già in effetti all’osso per molte filiere), ma di espandere i ricavi. L’obiettivo comune deve essere quello di trovare un accordo – aggiungono rappresentanti dei coltivatori diretti -, che “garantisca la sostenibilità finanziaria delle stalle e delle aziende agricole, condizione imprescindibile per mettere al sicuro tutta la filiera agroalimentare Made in Italy e continuare a garantire ai consumatori prodotti sicuri e di qualità”. Traguardo con il quale teoricamente tutti sono d’accordo, ma il cui raggiungimento si scontra poi con le mille difficoltà di una filiera che continua spesso ad essere più divisa che unita. Gioca comunque a favore del comparto non solo l’ormai tradizionale “gusto italiano per le cose buone” e il conseguente apprezzamento dei mercati internazionali, ma anche la ritrovata consapevolezza del ruolo strategico della produzione alimentare vista come elemento fondamentale per la solidità di ogni Paese.
Strategicità politica e qualità alimentare, possono così essere le due basi sulle quali costruire per davvero un futuro più solido (e migliore) per l’agroalimentare nazionale, un futuro nel quale l’agricoltura possa trovare conferma importante al suo ruolo fondamentale.