Preghiere e marce per la pace, dibattiti e tavole rotonde. Non si ferma il popolo del dialogo
Sono 33 le diocesi che hanno realizzato incontri e dibattiti per la Giornata del dialogo ebraico-cristiano (17 gennaio) e sono 172 le diocesi che hanno messo a punto un programma ecumenico di incontri di preghiera e tavole rotonde. Riccardo Burigana, direttore del Centro Studi per l’Ecumenismo: “Mai come nel passato, questa Settimana di preghiera testimonia che quando i cristiani si incontrano e pregano insieme, cominciano a conoscersi e a valorizzare i doni che ogni Chiesa porta dentro di sé. Ma soprattutto lanciano un messaggio al mondo: camminare insieme è il primo esercizio per vivere nella pace e con la pace”.
“Mai come nel passato, questa Settimana di preghiera testimonia che quando i cristiani si incontrano e pregano insieme, cominciano a conoscersi e a valorizzare i doni che ogni Chiesa porta dentro di sé. Ma soprattutto lanciano un messaggio al mondo: camminare insieme è il primo esercizio per vivere nella pace e con la pace. Ciò è possibile anche in Italia, contro ogni forma di violenza e di discriminazione ma nell’ascolto e nella condivisione”. Riccardo Burigana, direttore del Centro Studi per l’Ecumenismo, riassume così il variegato quadro che emerge dalle iniziative promosse dalle diocesi per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) e la Giornata del dialogo ebraico-cristiano (17 gennaio).
Sono 33 le diocesi che hanno realizzato incontri e dibattiti per il 17 Gennaio mentre per la Settimana di preghiera sono 172 le diocesi che hanno messo a punto un programma ecumenico di incontri di preghiera e tavole rotonde.
C’è chi, per esempio, come a Bologna, ha ideato anche un pomeriggio nel quale i ragazzi della catechesi e dei gruppi scout con le loro famiglie sono chiamati a visitare le Chiese cristiane non cattoliche della città.
Dalla panoramica cosa emerge?
Emerge un quadro multiforme, come è nella storia dell’ecumenismo in Italia con tante iniziative che vanno in direzioni molto diverse e particolari. Ci sono però almeno due elementi forti. Il primo è questa centralità della preghiera. La Settimana è diventata un tempo privilegiato per pregare insieme, per ascoltare le parole, conoscere le tradizioni religiose delle altre chiese, entrare dentro ai patrimoni liturgici e iconografici diversi anche perché il quadro delle chiese in Italia si è venuto ampliando in questi ultimi. Il secondo elemento è che accanto a questo elemento della preghiera, c’è in molte diocesi anche un tempo di conoscenza diretta. Ci si ferma in una chiesa che è stata assegnata da poco tempo a una comunità religiosa. Penso alle chiese copte, alle chiese georgiane, oppure a chiese come quelle pentecostali, che in numero sempre crescente partecipano al dialogo ecumenico a livello locale.
La Settimana è sempre un tempo anche di tavole rotonde, incontri, dibattiti. Quali sono i temi che sono stati privilegiati quest’anno?
Come sempre la Settimana di preghiera è stata impostata a partire da un passo biblico. Quest’anno però l’anniversario dei 1700 anni dal Concilio di Nicea è il tema predominante nelle tavole rotonde, nei convegni, nei vari dibattiti, soprattutto per quanto riguarda la professione di fede, il dibattito cristologico. Non dimentichiamo poi che a Nicea vennero stabiliti i criteri per la definizione della data della Pasqua che quest’anno il 20 Aprile, in maniera occasionale, tutti i cristiani la celebrano insieme.
Altro tema che ritorna in molte diocesi è la questione della pace, cioè di come i cristiani possono operare concretamente per costruire la pace.
Alcune diocesi ne hanno fatto anche l’oggetto, per esempio, di raccolta fondi per sostenere le comunità, soprattutto in Medio Oriente.
Riguardo alla presenza delle comunità ortodosse in Italia, quanto la guerra in Ucraina incide nei rapporti ecumenici?
A livello ufficiale, e anche prima della guerra, esistono delle difficoltà oggettive di dialogo tra le chiese ortodosse e tra le chiese ortodosse e la chiesa cattolica. Esemplare è le difficoltà nella quale vive la Commissione mista internazionale. A livello locale però scattano dei meccanismi diversi che consentono a volte di andare oltre a quelle che sono le posizioni ufficiali. In molti casi c’è una partecipazione a 360° delle chiese ortodosse.
Queste presenze sono un segno del tentativo di vivere questa Settimana come un ulteriore passo di riconciliazione anche delle memorie talvolta segnate da ferite del passato che sono ancora aperte e che in molti casi, anche in Italia, non rendono semplici i rapporti.
Il 17 gennaio si è celebrata la Giornata per l’approfondimento del dialogo tra cattolici e ebrei e 33 sono state le diocesi che hanno organizzato eventi specifici. Avete rilevato un clima intiepidito? Come reagiscono le diocesi al tema della guerra in Medio Oriente in relazione alle relazioni con le comunità ebraiche in Italia?
Esiste un clima oggettivamente complicato soprattutto dopo il 7 ottobre. Ma proprio per questo emerge chiaro che è importante mantenere i legami che si sono costruiti nel tempo.
Oltre tutto quest’anno si celebrano i 60 anni dalla Dichiarazione conciliare Nostra Aetate. E la Chiesa cattolica vive un anno giubilare, che ha profonde radici ebraiche. Il tutto nella consapevolezza dell’urgenza a provare a lavorare insieme per combattere la grande piaga dell’antisemitismo che va avanti e che dopo il 7 ottobre si è ancora di più aperta. Le diocesi hanno fatto delle proposte, segno che la volontà e il desiderio di portare avanti un dialogo religioso c’è. Certo, si scontra con i tempi non semplici in cui viviamo. Significativo il fatto che il numero delle diocesi coinvolte è superiore a quello dell’anno scorso, segno che nonostante tutto, nella Chiesa cattolica, va avanti sempre più l’idea che conoscere l’ebraismo è una parte fondamento per conoscere la propria storia e capire anche le radici del cristianesimo.