Povertà. Russo (Alleanza): “Problema che si va cronicizzando, tornare a misura universalistica di contrasto”
“Negli ultimi 10 anni non vi è mai stato un momento in cui la povertà assoluta in Italia sia diminuita”, afferma il portavoce dell’Alleanza contro la povertà commentando i dati diffusi dall’Istat. “Il trend è crescente e – spiega – questo continua a generare preoccupazione perché si conferma come non siamo più di fronte a un problema episodico. Siamo di fronte ad un problema che va affrontato con politiche strutturali”
“Il problema della povertà nel nostro Paese va verso un processo di cronicizzazione”. Non usa giri di parole Antonio Russo, portavoce dell’Alleanza contro la povertà, per commentare le stime preliminari diffusi dall’Istat sulla povertà assoluta e le spese per consumi nel 2023. Lo scorso anno, la percentuale di famiglie e persone in povertà assoluta è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 2022. La stima è di oltre 2 milioni 234mila famiglie, per un totale di circa 5 milioni 752mila persone. Risultano in peggioramento l’incidenza della povertà assoluta individuale al Nord e la condizione delle famiglie con persona di riferimento un lavoratore dipendente. Inoltre, si conferma che la presenza di figli minori continua ad essere un fattore che espone maggiormente le famiglie al disagio economico.
Come Alleanza contro la povertà in Italia come leggete questi dati?
I numeri confermano tristemente una situazione già conosciuta. Avevamo avvertito che la situazione sarebbe stata assai complicata per il numero dei poveri assoluti nel nostro Paese. Le stime preliminari diffuse ieri sarebbero già sufficienti per dire che
purtroppo negli ultimi 10 anni non vi è mai stato un momento in cui la povertà assoluta è diminuita. Il trend è crescente e questo continua a generare preoccupazione perché si conferma come non siamo più di fronte a un problema episodico. Siamo di fronte a un problema che va affrontato con politiche strutturali.
Le stime, in qualche modo, mettono in evidenza il peso del lavoro povero se è andata peggiorando la condizione delle famiglie con persona di riferimento un lavoratore dipendente…
Dobbiamo fare i conti con il fatto che
ormai non sono poveri solo più quelli che non lavorano.
Dall’immagine che ci viene fornita dall’Istat risulta evidente che sono poveri anche quelli che lavorano. Ciò riapre il dibattito sul Reddito di cittadinanza che non veniva erogato soltanto a chi non lavorava ma anche a chi lavorava, come sorta di integrazione al reddito.
Altro dato allarmante è quello relativo ai minori, la cui presenza si configura come fattore che espone maggiormente le famiglie al disagio economico…
La povertà non colpisce solo gli adulti ma coinvolge 1.300.000 minori. Creando un danno per il futuro. Perché questi bambini e ragazzi sono privati nella fase più importante della loro vita di una serie di possibilità.
Situazioni che riguardano problemi alimentari, sanitari, educativi; insomma, c’è da chiedersi, come si fa a crescere?
Secondo l’Istat è in peggioramento l’incidenza della povertà assoluta individuale al Nord. È un dato che la stupisce?
Il nostro è un Paese che si è complessivamente impoverito.
Per una serie di ragioni storiche – legate a ritardi, assenza di servizi, carenze infrastrutturali – abbiamo ritenuto che le difficoltà maggiori fossero più diffuse in una parte del Paese. E quindi che qui fosse più “giustificabile” la presenza di un numero consistente di poveri assoluti o relativi. Ma oggi la povertà va declinata meglio per capirla fino in fondo: ad esempio, sappiamo che purtroppo è multidimensionale, che non può essere assimilata nel principio “non ho il lavoro e sono povero”. Al giorno d’oggi sono tante le condizioni di povertà. Una delle questioni che ha fortemente determinato l’innalzamento del numero dei poveri è stata l’inflazione, il cui aumento è arrivato dopo la pandemia e la guerra alle porte dell’Europa. Ci si è ritrovati in una sorta di “tempesta perfetta” che in qualche misura ha determinato il fatto che i poveri rimanessero comunque poveri e a questi se ne aggiungessero altri. In alcune aree metropolitane del Nord, i prezzi al carrello e il costo degli affitti hanno inciso sui bilanci delle famiglie che si sono trovate di fronte ad un innalzamento delle spese ordinarie determinando ad un certo punto l’impossibilità di andare avanti con le proprie risorse.
Contestualmente alle stime sulla povertà l’Istat ha diffuso quelle sulle spese delle famiglie. Spinta dall’inflazione, la spesa media è cresciuta da 2.519 a 2.728 euro mensili, con un aumento in valori correnti dell’8,3%. Qualcuno più in difficoltà avrà potuto farvi fronte attingendo ai risparmi. Se l’inflazione non dovesse ulteriormente diminuire, pensa che nel 2024 crescano ancora i poveri in Italia?
Siamo molto preoccupati e non vorremmo che nel 2025, restituendoci la fotografia, l’Istat ci dica che abbiamo superato i 6 milioni di poveri.
Come fare per evitarlo?
È indispensabile il ritorno ad una misura universalistica e non categoriale. Perché l’attuale divisione prevista dalla legge 85 del 2023, quella che è intervenuta sul Reddito di cittadinanza, non potrà che aumentare i numeri dei poveri.
Scenario che, ovviamente, non ci auguriamo di dover affrontare. Per scongiurare che ciò accada il Paese dovrebbe assumere il problema della povertà come una questione da affrontare al di là degli schieramenti e delle legislature. Oggi l’Italia è l’unico Paese in Europa a non avere una misura universalistica di contrasto alla povertà. I dati dei primi pagamenti dell’Assegno di inclusione dicono che la misura ha raggiunto 550mila nuclei familiari a fronte di oltre 1,2 milioni beneficiari di Reddito di cittadinanza. Dove sono finiti gli altri 700-800mila? C’è il rischio che questi contribuiscano ad aumentare il numero di poveri nel 2024. E poi, anche l’altra misura introdotta dalla legge, quella del Supporto per la formazione e il lavoro, a gennaio è stata percepita da 24mila persone su una platea di potenziali beneficiari pari a 400mila.
Più volte avete espresso rilievi sull’efficacia della legge 85 del 2023…
Abbiamo fatto un appello al Governo. Abbiamo scritto almeno tre volte negli ultimi tre mesi al ministro Calderone e aspettiamo di essere convocati perché vorremmo conferirle il lavoro che 35 organizzazioni che si occupano di povertà nel nostro Paese hanno fatto: un lavoro di studio, approfondimento, ricerca e di proposta. Saremmo ben felici se qualcosa da noi elaborato per aiutare ad uscire da questa situazione venisse preso in considerazione. Stiamo ancora aspettando, così come siamo in attesa di avere i dati ufficiali di Assegno di inclusione e Supporto per la formazione e il lavoro perché senza numeri certi è difficile fare considerazioni.
Alberto Baviera