Povertà lavorativa, le cinque proposte del gruppo di lavoro voluto da Orlando
In Italia un quarto dei lavoratori ha una retribuzione bassa e più di un lavoratore su dieci si trova in situazione di povertà. Tra le proposte quella di garantire minimi salari adeguati e potenziare l'azione di vigilanza. Il ministro: “Il fenomeno ha dimensioni significative e crescenti”
Avere un lavoro non basta per evitare di cadere in povertà. In Italia un quarto dei lavoratori ha una retribuzione individuale bassa e più di un lavoratore su dieci si trova in situazione di povertà. Ad affermarlo è la relazione presentata ieri dal Gruppo di lavoro sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia. Per il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, si tratta di un “fenomeno che ha dimensioni significative e purtroppo crescenti nel nostro Paese - ha detto il ministro presentando la relazione del gruppo di lavoro -. Credo sia utile questo lavoro perché da un lato ci dà un quadro del fenomeno e dall’altro ci dice come si è sviluppato, quali sono le cause e quali possono essere le soluzioni”. Nonostante i dati positivi che arrivano sulla ripresa, per Orlando restano alcuni elementi preoccupazione, ovvero “una forte presenza di precarietà e una componente significativa di lavoratori di povertà”. Per il Gruppo di lavoro, la povertà lavorativa è spesso “collegata a salari insufficienti mentre questa è il risultato di un processo che va ben oltre il salario e che riguarda i tempi di lavoro, la composizione familiare e il ruolo redistributivo dello Stato”, si legge nella relazione. “A livello individuale, infatti, il rischio di basse retribuzioni è particolarmente elevato per i lavoratori occupati solo pochi mesi all’anno, per i lavoratori a tempo parziale e per i lavoratori autonomi. A livello familiare, a questi fattori di rischio si aggiunge anche la composizione del nucleo e il numero di percettori”. Per questi motivi, per combattere la povertà lavorativa serve “una molteplicità di strumenti per sostenere i redditi individuali, aumentare il numero di percettori di reddito, e assicurare un sistema redistributivo ben mirato”. Cinque le proposte avanzate dal Gruppo di lavoro. La prima chiede di garantire salari minimi adeguati. “Sono una condizione necessaria (ma non sufficiente) per combattere la povertà lavorativa tra i lavoratori dipendenti - si legge nella relazione -. Nel caso italiano sono due le opzioni in discussione: estendere i contratti collettivi principali a tutti i lavoratori oppure introdurre un salario minimo per legge”. Oltre a queste due opzioni, il Gruppo di lavoro ha elaborato una terza opzione che consenta “una sperimentazione di un salario minimo per legge o di griglie salariali basate sui contratti collettivi in un numero limitato di settori. Questa terza opzione, pur apportando solo una risposta parziale e non esente da problemi e complessità, permetterebbe di dare una prima risposta in quei settori in cui la situazione è più urgente mentre prosegue il dibattito sullo strumento più adatto a livello nazionale”. La seconda proposta suggerisce di rafforzare la vigilanza documentale.
La terza proposta, invece, chiede di introdurre in-work benefit. “In Italia, solo il 50% dei lavoratori poveri percepisce una qualche prestazione di sostegno al reddito rispetto al 65% in media europea - si legge nella relazione -. In particolare, in Italia manca uno strumento per integrare i redditi dei lavoratori poveri, un in-work benefit, che permetterebbe di aiutare chi si trova in situazione di difficoltà economica e incentiverebbe il lavoro regolare. La quarta proposta prevede di incentivare il rispetto delle norme da parte delle aziende e aumentare la consapevolezza di lavoratori e imprese. “A queste tre misure - si legge nella relazione - è possibile affiancare altre iniziative per incentivare le imprese a pagare salari adeguati con forme di accreditamento oppure di name and shame per chi, al contrario, non rispetta la normativa sul lavoro. Per i lavoratori, poi, servono strumenti e campagne per aumentare la leggibilità dei Ccnl e dei vari strumenti di sostegno al reddito per assicurarsi che i lavoratori che ne hanno bisogno possano avervi effettivamente accesso”. Quinta e ultima proposta: promuovere una revisione dell’indicatore Ue di povertà lavorativa. “L’indicatore di povertà lavorativa utilizzato dall’Unione europea esclude i lavoratori con meno di sette mesi di lavoro durante l'anno e presuppone un'equa condivisione delle risorse all'interno della famiglia - si legge nel testo -. Così facendo, l’indicatore Ue esclude i lavoratori che sono probabilmente tra i più esposti al rischio di povertà e non permette di identificare se qualcuno è in grado di avere una vita decente con i propri guadagni”. Del gruppo di lavoro fanno parte Andrea Garnero, economista del lavoro all’Ocse, attualmente in sabbatico di ricerca, coordinatore del gruppo; Silvia Ciucciovino, professoressa ordinaria di diritto del lavoro all’Università Roma Tre e consigliera esperta presso il Cnel; Romolo de Camillis, direttore generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; Mariella Magnani, professoressa emerita di diritto del lavoro all’Università di Pavia; Paolo Naticchioni, economista presso la Direzione Studi e Ricerche dell’INPS e professore associato all'Università Roma Tre; Michele Raitano, professore ordinario di politica economica alla Sapienza Università di Roma; Stefani Scherer, professoressa ordinaria di sociologia all’Università di Trento e Emanuela Struffolino, ricercatrice di sociologia economica all’Università di Milano.