Pnrr, priorità nazionale. Non solo di una parte politica
Il Pnrr non è di questo o di quell’altro leader, di questo o di quell’altro governo.
Forse in molti – anche nel mondo politico – lo hanno dimenticato o fanno finta di niente. Ma quando, per reagire alle devastanti conseguenze della pandemia, venne concepito un colossale piano europeo di finanziamenti e, in rapporto con esso, fu varato il Piano nazionale di ripresa e resilienza (essendo l’Italia il principale beneficiario di quei finanziamenti), si parlò con giusta e motivata enfasi di un’opportunità epocale per il nostro Paese. Si apriva la possibilità non solo di riparare i danni causati dal Covid, ma anche e soprattutto di sciogliere alcuni di quei nodi strutturali che per decenni hanno zavorrato la crescita italiana.
Adesso il Pnrr fa notizia solo quando si avvicinano le scadenze entro cui bisogna dimostrare il raggiungimento degli obiettivi concordati, pena la mancata erogazione della relativa rata dei finanziamenti. Un meccanismo benedetto perché costringe periodicamente a fare i conti e a verificare la concreta attuazione del Piano anche un Paese come il nostro che ha una cronica difficoltà a impiegare in modo adeguato i fondi europei di varia natura. Difficoltà che si sono ripresentate anche in questa occasione – lo ha certificato nei giorni scorsi l’apposita relazione semestrale della Corte dei Conti – e che tuttavia sono ancora superabili purché tutti si mettano “alla stanga”, come ha efficacemente ricordato il Presidente della Repubblica, citando non casualmente un discorso di De Gasperi negli anni della ricostruzione post-bellica.
Il punto è esattamente questo. Le criticità sono note e paradossalmente finiscono per tagliare le gambe proprio a quei finanziamenti che dovrebbero servire a realizzare i processi di modernizzazione politico-amministrativa necessari per sanare quelle criticità. E’ un gatto che si morde la coda. Per spezzare questo circolo vizioso bisognerebbe ritrovare le motivazioni di uno slancio convinto e condiviso, bisognerebbe appunto mettersi “alla stanga”, mentre invece la spinta propulsiva intorno al Pnrr è andata progressivamente scemando, disperdendosi in altri canali e su altri tavoli. Certo, la crisi energetica e la guerra provocata dall’aggressione russa all’Ucraina hanno modificato radicalmente lo scenario internazionale in cui anche l’Italia si trova immersa e tuttavia queste nuove emergenze avrebbero dovuto in teoria rafforzare l’impegno per il Pnrr, non depotenziarlo.
Sul Piano sembra pesare il fatto che la sua gestazione e la sua attuazione hanno interessato tre governi assai diversi tra loro per guida, composizione e baricentro politico. Ovviamente non si può negare a ciascun esecutivo il diritto di mettere la propria impronta su un’operazione di tale portata, assumendosene la responsabilità; entro certi limiti può essere persino giustificabile che si attribuiscano ai predecessori alcuni ritardi emersi nel tempo, purché tutto questo non snaturi gli impegni internazionali solennemente assunti dal nostro Paese e non diventi un alibi per i propri inadempimenti e uno strumento di propaganda politica. Il Pnrr non è di questo o di quell’altro leader, di questo o di quell’altro governo. E’ una grande priorità nazionale e tale deve restare anche nella mutevolezza della dialettica democratica.