Più assistenza domiciliare per proteggere i malati terminali dal Coronavirus
Vidas, storico ente che a Milano e Monza segue malati inguaribili, ha aumentato il numero di pazienti seguiti a casa. "Così non devono rivolgersi agli ospedali. Alleggeriamo le strutture sanitarie e progettiamo dal contagio i malati"
L'obiettivo principale è proteggerli. Tra le persone più a rischio in caso di contagio da coronavirus ci sono i malati terminali. E Vidas, ente che da 37 anni garantisce assistenza completa e gratuita ai malati inguaribili a domicilio o in due hospice, ha deciso di aumentare il numero di pazienti da seguire a casa. "In media assistiamo contemporaneamente 190 persone tra Milano e Monza -spiega Giorgio Trojsi, direttore di Vidas-. Ci siamo chiesti però cosa potevamo fare per dare una mano in questo periodo e la risposta è stata quella di cercare di curare a casa un numero maggiore di persone, così che non si rivolgessero agli ospedali. Ora ne seguiamo 215. In questo modo non solo alleggeriamo le strutture sanitarie, ma proteggiamo meglio chi ha una malattia grave e che rischierebbe di essere contagiata".
Ogni anno Vidas assiste circa 1.900 pazienti , 24 ore su 24, 365 giorni l’anno con équipe composte da medici, infermieri e operatori socio sanitari. Il coronavirus sta incidendo molto nello stile con cui queste equipe lavorano. "Purtroppo ma inevitabilmente devono presentarsi nelle case delle persone con mascherina, guanti, camice protettivo - aggiunge il direttore di Vidas-. E questo aspetto è vissuto male da tutti, anche da famigliari e pazienti. Perché toglie un po' di quella umanità che caratterizza il nostro lavoro. Allo stesso tempo i famigliari, ma anche i malati, sono terrorizzati dal coronavirus, perché un eventuale contagio avrebbe un esisto drammatico. E per chi è malato terminale un giorno in più di vita è prezioso".
Nei due hospice di Milano (uno per adulti e uno per i bambini) sono state prese tutte le precauzioni per tenere fuori dalla porta il coronavirus. Nell'hospice per adulti può entrare un visitatore alla volta, con mascherine e guanti e prima di accedere deve misurare la febbre. "Purtroppo abbiamo dovuto sospendere le attività dei volontari. E non possiamo più fare pet therapy, né musicoterapia o altre attività non strettamente mediche. Chi, prima dell'epidemia, veniva a visitare i nostri hospice, si meravigliava di quanta vita ci fosse. Oggi, dobbiamo ammetterlo, ce n'è un po' meno".