Persone, non sigle. La letteratura e il linguaggio mediatico spesso povero di umanità
La violenza inizia sempre con il linguaggio, che è la prima maniera con cui affrontiamo le cose.
“Oggi noi scrittori siamo molto meno importanti di un tempo. Però continuo a credere che il percorso per raggiungere una vita piena passa sempre attraverso la letteratura. Lo capisco quando vedo alcuni miei parenti, che a forza di televisione, invecchiano male, rancorosi e incattiviti verso il mondo. La letteratura può salvarci da questa fine”. Valeria Luiselli ha 36 anni, di origine bergamasca, è nata a Città del Messico e vive a New York. In questi giorni è in Italia per parlare di uno dei suoi libri “Archivio dei bambini perduti”.
La sua convinzione è maturata nell’essere testimone di molte sofferenze e di molte ingiustizie in diverse parti del mondo. La letteratura, cioè la narrazione, è per lei il racconto di un’umanità resa insensibile da un linguaggio mediatico che con i suoi termini ruba significati, speranze e dignità. Questi termini, afferma, “tolgono l’elemento umano. Chiamare i bambini ‘mena’ (in spagnolo menores extranjeros no accompagñados) o Uac (negli Stati Uniti Unaccompanied Alien Children) vuol dire cancellare la loro umanità, sono persone non sigle. La violenza inizia sempre con il linguaggio, che è la prima maniera con cui affrontiamo le cose. Utilizzare queste sigle a lungo andare giustifica le peggiori politiche sull’immigrazione”.
In tempi non lontani anche molti media italiani nel raccontare le tragedie nel Mediterraneo scrivevano e dicevano di “clandestini annegati”. quasi che con questo termine potesse ridursi l’atrocità di quelle morti e potesse tranquillizzarsi la coscienza. Ci volle del tempo prima che il termine “persone” prendesse il posto di “clandestini”.
Fu un passo importante, sostenuto dalla “Carta di Roma” dell’Ordine nazionale dei giornalisti, ma un cambio di termine, come oggi racconta perfino la cronaca sportiva, non basta per cambiare una mentalità, per rompere la crosta del pregiudizio, dell’egoismo, del rifiuto.
Ne è una prova la presa di posizione di una calciatrice africana della Juventus contro il razzismo che rende tristi i campi da gioco italiani.
Un cambio di linguaggio, nonostante tutto, può consentire che una scintilla di umanità penetri nell’oscurità di una coscienza prigioniera del proprio “io” e la inquieti.
Piccole e intelligenti esperienze lo confermano in molti luoghi del nostro Paese.
L’attore Neri Marcorè, con alcuni volontari, sta donando il suo tempo e la sua arte in ospedali, carceri, case di riposo perché “la lettura di libri è uno di quei canali attraverso i quali si può pensare di essere meno soli”.
Sì, direbbe Valeria Luiselli, “la letteratura può salvarci da questa fine”.