Perché si protesta in Cile? Barlocci (Università Cattolica del Norte), “il 90% della popolazione non arriva a fine mese”
"Una parte della società, l’1% del Paese, vive in un'isola di pace perché ha nelle mani gran parte della ricchezza prodotta. Noi siamo 17 milioni e mezzo di abitanti ma 11 milioni sono indebitati e più di 4 milioni e mezzo sono morosi e non sanno come pagare i loro debiti. Il successo cileno era solo una favola ed ha eroso il terreno della solidarietà sociale". Queste le ragioni delle violente manifestazioni in Cile rivelate al Sir dal giornalista e docente Alberto Barlocci, che vive a La Serena, una delle città dove è in vigore il coprifuoco
Il presidente del Cile Sebastiàn Piñera ha chiesto oggi “perdono” per non aver compreso la drammaticità della situazione sociale e annunciato una serie di proposte per “una agenda sociale di unità nazionale”. Dieci le misure annunciate, tra cui interventi sulle pensioni, le spese sanitarie, il salario minimo e imposte sulla ricchezza. Proprio stamattina Papa Francesco, al termine dell’udienza, si è detto preoccupato per le vicende cilene: “Mi auguro che, ponendo fine alle violente manifestazioni, attraverso il dialogo ci si adoperi per trovare soluzioni alla crisi e far fronte alle difficoltà che l’hanno generata, per il bene dell’intera popolazione”. E sono proprio le sperequazioni economiche, la fatica dei cileni di arrivare a fine mese, “la goccia che ha fatto traboccare il vaso” che ha dato origine alle manifestazioni dei giorni scorsi: 15 i morti e migliaia i feriti e gli arresti, tra devastazioni e saccheggi. Ce ne parla da La Serena, in Cile, Alberto Barlocci, giornalista e docente di filosofia del diritto dell’Università Cattolica del Norte nella sede di Coquimbo. La Serena e Coquimbo, dove abitano mezzo milione di persone, sono tra le città dove è in vigore il coprifuoco. In cinque o sei regioni è stato decretato lo stato d’emergenza. “Appena il 10% delle persone guadagna a sufficienza per riuscire ad arrivare a fine mese – fa notare -. Il 90% non ci arriva e la metà dei lavoratori ha uno stipendio al di sotto della soglia della povertà”.
Possibile che manifestazioni così violente siano state innescate solo dall’aumento dei biglietti della metro?
L’aumento dei biglietti della metro non avrebbe potuto scatenare quello che è successo. Si trattava di soli 5 centesimi di dollaro. Ma quei 5 centesimi sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Era l’ultimo anello di una catena di abusi commessi contro la gente, che fatica ad arrivare a fine mese pur lavorando.
Ad un certo momento la popolazione si è resa conto che non si governa per loro ma solo per alcuni. All’inizio sono state reazioni spontanee. Non ci sono dietro organizzazioni mefistofeliche come è stato detto. Nella gran parte dei casi – e forse è questo uno degli aspetti più problematici – non c’è nessuno dietro. Non c’è un movimento sociale che si possa identificare per cominciare a negoziare. Non ci sono partiti o organizzazioni della società civile dietro questa protesta e questo è molto pericoloso perché non si capisce bene con chi cominciare a dialogare.
La popolazione si è quindi stancata e protesta?
Sì, è una protesta generalizzata. Poi in situazioni di questo tipo si infilano gruppi estremisti di destra e di sinistra, che sono felici del caos e ne approfittano per saccheggiare. Questo spiega anche l’irrazionalità di centinaia di saccheggi. Nessuno ha danneggiato qualche grande marca o catena, che sono assicurate e non perderanno soldi. Purtroppo incendiando i supermercati hanno perso il lavoro centinaia di persone. Una settimana prima il presidente Sebastiàn Piñera aveva affermato che il Cile è un oasi di pace in una America Latina piena di tensioni. Invece domenica ha detto che eravamo in guerra. Ammette però che c’è una protesta legittima da parte della maggioranza dei cileni. Una delle parole più usate in questi giorni è abuso: le assicurazioni sanitarie crescono senza spiegazioni; i costi di alcuni servizi aumentano mentre le stesse aziende presentano bilanci con utili fantastici; si pagano mutui o prestiti bancari con tassi del 20 o 22% in un Paese in cui l’inflazione è all’1,5%. Questo non si spiega.
Quali sono le disuguaglianze più forti?
C’è una situazione in cui una parte della società, l’1% del Paese, vive in una isola di pace perché ha nelle mani gran parte della ricchezza prodotta. Noi siamo 17 milioni e mezzo di abitanti ma 11 milioni sono indebitati e più di 4 milioni e mezzo sono morosi, ossia hanno debiti e non sanno come pagarli.
Una delle pubblicità più frequenti in tv è quella degli studi di avvocati che difendono i debitori da creditori troppo vampiri. Gli stipendi sono bassissimi. E siccome c’è una idea meritocratica della società chi parte avvantaggiato e può pagarsi studi universitari e master all’estero arriverà ad incarichi di responsabilità molto alti, guadagnando molto. Questa sperequazione è molto forte. La piramide degli stipendi in Cile, ad esempio, ci dice che appena il 10% delle persone stipendiate guadagna a sufficienza per riuscire ad arrivare a fine mese. Il 90% non ci arriva e la metà dei lavoratori ha uno stipendio al di sotto della soglia della povertà, ossia 400 pesos cileni. Avere uno stipendio in Cile purtroppo non ti assicura che non sarai povero.
Potrebbero essere le prime avvisaglie di una rivoluzione che cova in profondità?
È difficile prevedere se possa essere o meno una rivoluzione. Ma al di là delle teorie cospirative, che non mancano mai, siamo di fronte ad una situazione caotica senza una controparte che rappresenti tutto questo: né i partiti politici, né la Chiesa che, mentre durante la dittatura era stata una istituzione prestigiosa, oggi appare invece indebolita in seguito al recente scandalo degli abusi.
Abbiamo visto immagini tremende della repressione, denunciata anche dalle organizzazioni per i diritti umani. Tornano i fantasmi del passato o è qualcosa di diverso?
Stiamo attenti con i filmati perché non si vede il momento prima degli arresti. Ne ho visto uno con i militari insultati pesantemente. Non escludo che ci siano abusi ma non generalizzerei. Siamo in uno Stato di diritto. Le organizzazioni umanitarie si riferiscono al momento degli arresti. Teniamo conto che costituzionalmente è stato decretato lo stato d’emergenza per cui le manifestazioni non sono permesse. Perciò chi manifesta sta sfidando la legge e il coprifuoco. Poi accadono eccessi da entrambe le parti: l’altro ieri hanno svaligiato un negozietto molto umile del centro, ora iniziano a saccheggiare anche le case private.
Ora il presidente Piñera ha fatto dietrofront e chiesto perdono. Come potrà evolvere la situazione?
Il presidente ha sbagliato a decretare lo stato d’emergenza e mandare l’esercito nelle strade. Pressato dalla destra che lo invitava a garantire l’ordine pubblico non ha capito che va compreso il malessere delle persone e intervenire per cambiare certe situazioni che stanno diventando abusi. La favola del successo cileno, nata durante il periodo della dittatura, ha eroso il terreno della solidarietà sociale.
Siamo una somma di individui non una società. Anche economisti delle università cattoliche difendono questo tipo di ordine sociale. Difficile partire dal bene comune quando legiferi o pensi alla riforma tributaria, all’educazione o alla salute. C’è la sfida di ricostruire un tessuto sociale in cui la gente senta veramente che fa parte di un progetto politico di Paese che arriva anche a loro.
Gli intellettuali sono in allerta o minimizzano?
I più attenti e sensibili se ne rendono conto. Alcuni no perché hanno stipendi profumatissimi e vivono su un altro pianeta. Non stiamo vedendo una reazione generale e cosciente della società civile. Nemmeno gli atenei cattolici hanno partecipato al processo sociale indicato da Papa Francesco. Anzi hanno favorito uno status quo di disuguaglianze e sperequazioni tremende, aiutando a considerarlo come un fenomeno naturale che fa parte della natura delle cose. La dottrina sociale non viene applicata.