Pastorale universitaria: educatori, non maestri
Religiosi coerenti, in mezzo ai giovani senza secondi fini. Frequentare il collegio Don Mazza significa anche sviluppare competenze trasversali grazie alle tante iniziative proposte: cultura, volontariato, sport, orientamento professionale, approfondimento spirituale e accompagnamento personale. L'esperienza con i giovani dei Legionari di Cristo.
Accorgiti di me, chiamami con il mio nome, ascoltami, trattami con un pizzico di complice simpatia: i giovani sono portatori di una richiesta elementare, ma vitale, e oggi ineludibile più ancora che nei tempi passati, per avviare un approccio educativo. E questo è solo un primo passo, ma essenziale, se si vuol cominciare un cammino che porti lontano facendo strada insieme. Cose semplici, ma vincenti. «Io sono importante per te – spiega don Fidenzio Nalin dei Giuseppini del Murialdo, che affianca da anni i giovani nel Patronato San Gaetano di Thiene – e me lo fai capire perché conosci il mio nome, mi aspetti se ritardo, sai qualcosa di me. È quella che noi chiamiamo la pedagogia dell’amore o dell’incarnazione: dobbiamo accoglierli così come sono. Varcare la soglia di un cuore richiede delicatezza e rispetto. Importante è il tempo che trascorriamo gratuitamente con loro, senza secondi fini e senza dover fare continuamente i maestri, i saccenti, ma chiedendo per favore, interpellandoli anche per le semplici cose della quotidianità, ringraziando, apprezzando, esprimendo anche i nostri dissensi e comunicando quello che di bello e di grande ci è stato donato».
Un approccio che si traduce nel camminare davanti, in mezzo, dietro, nella loro vita, nel loro contesto, in ciò che sentono. E il messaggio cristiano è in presa diretta con la loro quotidianità, è incarnato nella loro vita: questo è il senso anche del Patronato dei Giuseppini, un continuo laboratorio del loro vissuto. Il fondatore, Leonardo Murialdo, invitava ad accogliere soprattutto i giovani poveri e abbandonati. E oggi, quali sono questi giovani? «Sono i figli dell’incertezza – spiega don Fidenzio – che mancano di risorse interiori, frastornati dal mondo esterno, incerti e indifferenti rispetto ai fini. Murialdo si preoccupava che questi giovani non si perdessero, il famoso ne perdantur, che oggi assume un significato nuovo: facciamo capire che c’è in ballo la loro umanità, il loro essere, l’identità, il rapportarsi con l’altro. E questo li sorprende».
Gli educatori allora devono essere appassionati, coerenti, liberi e portatori di fiducia, con un pizzico di gioia che non è superficialità, ma la capacità comunicativa che fa affrontare la vita con leggerezza. I giovani cercano adulti che siano a servizio della comunità, che facciano qualcosa per il bene di tutti. Non vogliono che ci sia appiattimento, totale uguaglianza fra il loro mondo e quello degli adulti, apprezzano la vicinanza, ma che sia capace di distanziarsi perché solo così può dare loro un di più.
«La dimensione del noi – afferma don Luca Corona, direttore della residenza maschile universitaria del collegio Don Nicola Mazza di Padova – è molto importante. I ragazzi che vivono qui devono avere la capacità o la disposizione a vivere insieme. Lo dice la parola stessa: "collegio" è legare insieme, nel dialogo, nelle chiacchierate, durante il pasto. C’è una predisposizione nei giovani a vivere in comunità, a volte sopita, ma messi in ambienti dove la vitalità esplode, riscoprono quanto è bello donarsi, impegnarsi». Certo, la vita comunitaria è anche fatica e impegno: bisogna capire le esigenze dell’altro, venirsi incontro, risolvere le difficoltà a prescindere da ogni pretesa di autorità. In questo al collegio sono sempre affiancati da un tutor senior, il direttore, che li segue nei colloqui personali e condivide il progetto formativo personalizzato che spazia dal percorso universitario alla formazione personale extra.
Ci si confronta in maniera adulta con una persona più grande che è come un fratello maggiore che prende per mano, perché l’università è un tempo di estrema apertura, di grandi stimoli, e lo studente alle volte può essere destabilizzato. «Molte volte – racconta don Luca – quando si guardano indietro non si riconoscono. Ed è importante valorizzarli, fargli vedere le cose belle che hanno fatto, perché spesso manca un po’ di presa di coscienza. Percepisco in loro un sentimento di ansia per le molte cose che devono fare. Hanno poca consapevolezza di sé. Manca il passaggio dell’autoriflessione e la capacità di dare valore all’esperienza fatta. A loro dico sempre: guardati indietro. L’esperienza dice che ce l’hai fatta, non devi abbatterti, devi avere fiducia».
«La difficoltà più grande che incontro con i giovani – conferma padre Alberto Zanetti dei Legionari di Cristo, che segue la pastorale universitaria e i ragazzi del movimento Regnum Christi – è la mancanza di punti di riferimento. Chiedono, inizialmente possono essere chiusi e diffidenti, ma se entri in confidenza per aiutarli e non giudicarli, si aprono. Quello che noto è l’assenza della famiglia, soprattutto della figura paterna. Cercano qualcuno che li sappia apprezzare perché spesso mancano di autostima. Con alcuni faccio un cammino di crescita, altri vengono per dubbi o problemi». Vogliono una persona che li aiuti a conoscersi meglio, a toccare con mano i loro talenti per metterli poi a disposizione degli altri. Se la società offre molte possibilità di scelta, rischia anche di disorientare. Importante allora è aiutarli nel discernimento: fargli capire che scegliere è un bene, significa impegnarsi di più, crescere.
«Il mio ruolo – spiega padre Zanetti – è quello di essere sacerdote che sa ascoltare e che gli va incontro perché quando mostri fiducia e stima nei loro confronti sono stupendi, si impegnano moltissimo». Come ad esempio nell’organizzare il capodanno in Bosnia: proposto quasi per scherzo sei anni fa con 18 ragazzi, è arrivato quest’anno a coinvolgerne ben 65 (più altri 30). Una missione umanitaria che li vede coinvolti nell’organizzazione del prima (raccolta vivere e indumenti, ma anche predisposizione del viaggio) e nel durante (visita a famiglie povere segnalate dai servizi sociali, a case per anziani e per disabili, orfanotrofi e campi profughi). «Si spendono per gli altri – continua padre Alberto – e questa è un’attività che piace moltissimo. Quando c’è un progetto si entusiasmano molto, alle volte hanno bisogno di qualche input, ma poi sono capaci di creare iniziative straordinarie. E vivono anche grande profondità spirituale, vogliono essere stimolati in questo ambito, cercano risposte, vogliono attualizzare la Parola e molto spesso sono intimamente toccati da ciò che Dio vuole dire loro. Ho visto giovani uscire piangendo dalla chiesa dopo aver partecipato alla “notte missionaria”, una missione di evangelizzazione di strada che facciamo il mercoledì sera a Padova nella chiesa del Corpus Domini. Sanno sorprenderti e questo è il bello di stare in mezzo a loro».