Ordinazioni. Parla il rettore don Giampaolo Dianin: "Il "virus" buono di due presbiteri"
Saranno ricordati come i preti del Covid-19, quelli ordinati in luglio come succedeva in passato, quelli che non hanno avuto la Cattedrale colma di gente. Faccio fatica a essere triste per tutto questo, anzi sono sobriamente contento che diminuiscano gli aspetti esteriori per far emergere la sostanza e la verità dell’ordinazione presbiterale.
In queste settimane ho pensato ai preti ordinati clandestinamente nei Paesi dove la fede era perseguitata, a quelli ordinati nel nascondimento perché nessuna manifestazione pubblica è possibile. Dopo quattro mesi nei quali a tutti i cristiani sono state chieste tante rinunce nella manifestazione pubblica del loro credere, ci sta che anche l’ordinazione presbiterale respiri in sintonia con questo tempo difficile ma anche di grazia.
A conferma di quanto sto dicendo mi permetto di riportare le parole di Luca, uno dei due ordinandi: «Non nascondo il dispiacere ma, allo stesso tempo, sento il desiderio di diventare prete, di concludere questo cammino per intraprendere un cammino molto più lungo, se il Signore lo vorrà, e magari essere già disponibile per l’estate nell’aiutare le nostre parrocchie di servizio o dove ci sarà bisogno, pensando che sarà un’estate, molto probabilmente, senza tante attività».
Riporto anche alcune parole di Eros quando sembrava che l’unica strada fosse quella di un’ordinazione a porte chiuse: «Con gli anni di seminario è cresciuta in me la consapevolezza che l’ordinazione non sia solo “qualcosa per me” ma una celebrazione della Diocesi, in cui è inserita la mia risposta a una chiamata vocazionale. È la comunità (l’abbiamo detto tante volte), che riconosce nell’imposizione delle mani un nuovo pastore, al quale farà riferimento nel suo cammino perché possa guidarla verso Cristo».
Domenica 5 luglio ci sono loro – Eros e Luca – c’è il vescovo, ci sono i familiari e anche un piccolo gruppo di presbiteri, c’è una rappresentanza delle comunità di origine e di servizio. Molti altri possono unirsi attraverso i vari mezzi di comunicazione di cui siamo diventati tutti esperti in questi mesi. La Chiesa c’è, ma tutto in quella sobrietà che ci costringe a riconoscere l’essenziale, così come in questi quattro mesi abbiamo riscoperto il nudo battesimo come fondamento della nostra fede e abbiamo custodito la speranza e la nostalgia di celebrare l’eucaristia e di ritrovarci nella comunità.
Sono i preti ordinati nel tempo della prova, e portano con loro la consapevolezza di essere pastori in modo particolare per coloro che sono alla ricerca di Dio, che sono provati e curvati dalla vita, dei giovani confusi o troppo esuberanti, degli anziani e di coloro che sono soli. Fin dal primo giorno del loro ministero imparano a stare con i piedi per terra, a confidare di più nella preghiera di intercessione che negli applausi e riconoscimenti pubblici. «Servi inutili» come lo è stato il loro Maestro a cui per vocazione stanno donando la vita. Un virus buono in questo tempo fa bene a tutti noi.
Due anniversari per il seminario diocesano
Non solo il Coronavirus ha reso particolare quest’anno, ma anche una importante ricorrenza: lo scorso dicembre sono stati ricordati i 450 anni dalla fondazione del seminario diocesano e il prossimo 4 novembre si ricorderanno i 350 anni dalla rifondazione, operata da san Gregorio Barbarigo.
«Non ci teniamo a ricordare queste date solo per il gusto di festeggiare – spiega la comunità del seminario maggiore – ma vogliamo aggrapparci alle nostre radici perché in san Gregorio Barbarigo troviamo un testimone vero di un pastore che consuma la propria vita nel servire il suo gregge, con fedeltà e fiducia totale nel Signore. Alla sua protezione affidiamo il suo cor cordis: il nostro caro seminario padovano».