Open Space Technology, uno spazio digitale per favorire la comunicazione attraverso l’arte
Una metodologia che permette la creazione di uno spazio digitale sicuro, dove potersi esprimere in libertà: è il risultato del progetto europeo “In My Art”, che per due anni ha coinvolto sette organizzazioni in sei paesi europei. L’obiettivo? Dare ai giovani gli strumenti necessari per favorire l’inclusione sociale e una comunità interculturale
L’arte è un linguaggio universale capace di superare ogni barriera. È questo il principio da cui parte il progetto europeo “In My Art”, che per due anni ha coinvolto sette organizzazioni in sei paesi europei con l’obiettivo di dare ai giovani gli strumenti necessari per agire a favore dell’inclusione sociale e di una comunità interculturale, specialmente nei contesti dove i migranti hanno minori opportunità di essere coinvolti come cittadini attivi. Il progetto, che è cominciato a inizio 2020 e si è concluso lo scorso dicembre, si è però dovuto misurare con le distanze imposte dalla pandemia: e allora come riorganizzare le attività, che si sarebbero dovute svolgere parallelamente in Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania, Grecia e Spagna? È stata sperimentata così la metodologia Open Space Technology, che si basa sulla creazione online di uno spazio sicuro dove potersi esprimere in libertà.
“Immaginate un’organizzazione che fonda i suoi legami nei momenti in cui si canta insieme, si danza insieme, si mangia insieme – spiega Bianca Arnold, coordinatrice del progetto per l’associazione Arte Migrante di Bologna, che insieme alla capofila Per Esempio ha portato avanti “In My Art” in Italia –. Come trasmettere tutta quella energia attraverso uno schermo? Era una sfida molto complessa, e ci siamo interrogati a lungo su come riadattare il nostro progetto in base alle nuove regole imposte dall’emergenza sanitaria. E così è nata l’idea della Open Space Technology”.
In ogni paese c’era un team di giovani dai 16 ai 26 anni che ha lavorato sul tema dell’intercultura, per riflettere su cosa voglia dire inclusione e su come l’arte possa avere un ruolo in essa. Per farlo, sono stati utilizzati tanti linguaggi artistici: la musica, la pittura, il teatro, la poesia, la danza. “Abbiamo coinvolto migranti, senza dimora, persone disabili o con difficoltà economiche – racconta Arnold –. Dal 2012 l’associazione Arte Migrante organizza serate di incontro e scambio tra persone di origine, età, religione e cultura diversa: questa sarà un’occasione per arricchire il lavoro fatto in questi anni e ideare nuovi progetti e attività”.
Per confrontarsi, è stata utilizzata la piattaforma Zoom, cominciando da una domanda di partenza: quali azioni servono in futuro per promuovere l’inclusione tra i giovani? Per rispondere, il brainstorming è avvenuto attraverso le Artemigrantine, un mazzo di carte illustrate ideato direttamente dall’associazione Arte Migrante per favorire la riflessione e la comunicazione anche non verbale. Nella fase due, i partecipanti sono stati divisi in gruppi a seconda del tema che volevano discutere, e per ogni gruppo è stata creata una “stanza” virtuale in cui poter continuare ad approfondire la questione. In qualsiasi momento c’era la possibilità di cambiare stanza, e dunque partecipare al confronto su una tematica diversa. Fase 3: ci si è riuniti tutti insieme, riportando al gruppo completo le conclusioni delle singole stanze.
“Grazie a questo metodo, abbiamo imparato un nuovo modo di comunicare – conclude Arnold –. Abbiamo scoperto di dover migliorare le nostre conoscenze informatiche e digitali, se vogliamo mantenere vivi i legami anche durante questa pandemia. Ma soprattutto, alla fine abbiamo deciso di lasciare aperto questo ‘open space’, in modo da portare avanti in modo costante la discussione e i miglioramenti alle nostre attività. Quando i venti del cambiamento hanno scosso il gruppo, all’inizio ci siamo sentiti persi e confusi: l’unico modo per mantenere la rotta è stato proprio quello di costruire uno spazio per parlare, scambiarci dubbi e soluzioni, e continuare a navigare insieme nonostante le distanze”.
Alice Facchini