Novena di parole. Che tipo di Natale si aspettano i nostri ragazzi?

Una “novena” natalizia, fatta di parole può aiutare a capire i desideri degli adolescenti

Novena di parole. Che tipo di Natale si aspettano i nostri ragazzi?

Nelle aule scolastiche la prossima settimana partirà il count-down in attesa delle tanto sospirate vacanze natalizie, sebbene il sentiero di “pan di zenzero”,  ahimè, appaia ancora disseminato di interrogazioni e verifiche. Ma quali desideri custodiscono quei cappucci serrati e che tipo di Natale si aspettano i nostri adolescenti?

Difficile rispondere. Forse una “novena” natalizia, fatta di parole può aiutare a rifletterci su…

Attesa. L’attesa è l’inizio di tutto, il cuore magico di questa straordinaria festività. Che rapporto ha la nostra società con l’attesa? E ai nostri ragazzi abbiamo insegnato a coltivare desideri che richiedono tempo per essere realizzati? Quante volte abbiamo invece, con ansia, cercato di “riempire” il “vuoto” delle loro piccole attese? Aspettare rende irrequieti, ma è quella inquietudine ad alimentare la “fede” in ciò che desideriamo accada.

Simboli. Chissà se i nostri giovani hanno chiara la distinzione tra simbolo e decorazione. Certo… Un simbolo, a volte, può diventare anche decorazione, ma non è un semplice orpello colorato. In un simbolo c’è storia, emozione, sentimento e ambizione di eternità. Un simbolo si rivolge alla memoria e alla coscienza, non solo al piacere della vista. L’albero carico di palline colorate, il presepe domestico, l’agrifoglio, la stella cometa… Abbiamo raccontato ai nostri ragazzi qual è il loro significato?

Povertà. Il Natale racconta la storia di un piccolo bambino, vestito di stracci, venuto al mondo in una capanna e adagiato in una mangiatoia, riscaldato dal respiro di animali da stalla. È una storia intrisa di quella povertà che oggi ci fa tremare i polsi. D’altronde chi è povero non può comprare, non ha “dati” da profilare, non può neppure “rateizzare”, non può aspirare al privilegiato status di “consumatore”…

Ricchezza. Ma il Natale è anche festa di ricchezza e opulenza, potrebbe obiettare qualcuno. Non è per eccellenza la festa dei “doni”? Come dimenticare il pellegrinaggio dei pastori e dei Magi alla capanna del bimbo poverello, il loro recare doni con il cuore colmo di gioia? Donare vuol dire “dare senza aspettarsi nulla in cambio” e non è affatto sinonimo di “comprare” o “acquistare”. Implica, invece, una rinuncia, qualcosa che spontaneamente si destina a un “altro”.

Speranza. L’attesa non potrebbe esistere senza la speranza, che assieme al desiderio alimenta questo cammino. Che parola difficile, vero?! In una recente indagine condotta dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, intitolata “Il futuro che vorrei” (2023), e rivolta a giovani e giovanissimi (12-18 anni) emerge che solo uno su quattro fra loro (28,5%) associa all’idea del futuro al termine “speranza”.

Solidarietà e accoglienza. Solidarietà cosa vuol dire esattamente? Partecipare a tombole benefiche? Riempire “scatole” di Natale da regalare ai bisognosi? Fare donazioni con un click? Oppure potrebbe voler dire anche imparare a guardare negli occhi il nostro vicino di banco o di casa, il nostro compagno di viaggio sul treno locale o sulla metropolitana? Magari anche provare a tendere la mano nei piccoli gesti quotidiani? In questo modo, forse, la parola solidarietà potrebbe coincidere con la sua gemella “accoglienza”. Solo chi “accoglie” può essere davvero “solidale”. Non dimentichiamo di insegnarlo ai nostri ragazzi, o forse sono loro che in alcuni casi potrebbero insegnarlo a noi?

Famiglia. È impegnativo essere “famiglia” oggi. Quindi? Rinunceremo? Non possiamo, perché l’essere umano ha bisogno di famiglia, di dare e ricevere affetto, di elargire e trovare conforto. Anche le famiglie hanno bisogno di solidarietà e accoglienza, soprattutto necessitano di momenti di dialogo e di tempo da trascorrere insieme. Chiediamo ai nostri figli di uscire dai loro cappucci e sfilare gli auricolari e anche noi proviamo a “spegnere” tutto quello che ci porta lontano da quel tavolo imbandito per la festa.

Le ultime due parole della nostra “novena” sono inscindibilmente legate: nascita e miracolo.

Ogni volta che nasce un bambino possiamo dire di assistere a un miracolo. Ma, a volte, essere capaci di ri-nascere è un miracolo perfino maggiore.  Il Natale ci regala questa opportunità: la ri-nascita, magari come genitori o come educatori, oppure come figli in un cammino ancora lungo di crescita e scoperta.

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Fonte: Sir