Non rispetto in nome della libertà: ha senso? Sull’“Ultima cena olimpica” e chi segue la Chiesa in Italia
Insomma, quell’“Ultima cena” nella cerimonia d’inaugurazione delle Olimpiadi in corso a Parigi non ci è proprio andata giù. A noi credenti? Ai battezzati magari non così praticanti? Agli italiani che magari non credono ma tengono alle tradizioni religiose e non del nostro Paese? Agli indifferenti? Verrebbe da dire: a molti tra gli appartenenti a tutte queste categorie. Ce lo dicono i minuti di tg e i litri d’inchiostro dedicati ai fatti in questa settimana.
Dunque, che cosa possiamo aggiungere noi, su quella scena lungo la Senna in cui una serie di drag queen erano disposte proprio come i discepoli nella celebre opera di Leonardo da Vinci fino all’apparizione di un inatteso Bacco, dio pagano dell’amore? Tre idee, senza pretese di rivoluzionare l’orientamento di ognuno. Anzitutto, qui nessuno sta parlando della liceità di chiedere più diritti da parte di chi si riconosce nelle visioni antropologiche a cui comunemente ci riferiamo con la sigla Lgbtqia+. Gli organizzatori dell’Olimpiade hanno, infatti, rivendicato la loro idea di dimostrare l’inclusività della Francia, il che va benissimo (anche se stride con il divieto di indossare simboli religiosi in pubblico in nome della libertà religiosa…). Tuttavia, qual è il significato di rappresentare l’nclusività attingendo a una delle icone fondate di una religione? L’episodio del Cenacolo, nel quale Gesù spezza il pane per i suoi sapendo di essere tradito di lì a poco, non è semplicemente un “quadro”, è un passaggio chiave di un testo sacro. Ridicolizzarlo in nome – ancora una volta – di una libertà non dimostra la capacità di rispettare in prima persona l’altrui libertà. Come ha scritto il teologo Giuseppe Lorizio su Avvenire, la scelta del direttore artistico Jolly avrebbe potuto avere un senso più inclusivo e plurale se a quel tavolo fossero stati seduti anche rappresentanti di altre culture e visioni antropologiche, appunto. Invece, più che a un dialogo aperto, abbiamo assistito alla sopraffazione di una certa cultura su un’altra. C’è tuttavia un secondo tema, ben riassunto in un tweet su X di Alberto Melloni. «Guadagnare visibilità con una provocazione fa parte del repertorio dei mediocri. Guadagnare visibilità confondendo uno show kitsch con un attacco anticristiano fa parte del repertorio dei fondamentalisti», ha scritto lo storico della Chiesa. La sottolineatura va proprio su quel ripetuto «guadagnare visibilità». I cugini d’Oltralpe sanno bene che, pur nell’avanzato stato di secolarizzazione in cui vivono, toccare il cristianesimo si può (con altri la cosa è differente, considerato il tragico attentato alla redazione di Charlie Hebdo) e alza comunque un polverone che accende comunque l’attenzione dell’opinione pubblica. Lo stesso meccanismo vale anche per i politici di casa nostra che si sono subito scaldati di fronte allo spettacolo del 24 luglio e, impugnati i telefoni, hanno pubblicato post e video allo scopo di mantenere il consenso, più che di intraprendere un processo di confronto trasparente allo scopo di costruire una società tollerante, in cui le diverse sensibilità convivono senza giudizio. Infine una domanda: come mai in Italia si è scritto così tanto sull’“Ultima cena olimpica” e altrove no? Evidentemente il fattore religioso è ancora centrale nel Belpaese. Ilvo Diamanti su Repubblica di lunedì 29 luglio ha dettagliato come il “traino” della Chiesa su «morale e vita della persone (valori, famiglia, sessualità…)» sia in netto calo. Solo il 15 per cento ritiene importante seguirne gli insegnamenti, ma la percentuale scende al 5 se si considerano solo gli under 30. Non solo, se guardiamo la differenza tra il 2003 e il 2024, scopriamo che l’opinione «l’insegnamento della Chiesa è improprio, la Chiesa dovrebbe occuparsi di altro innanzitutto della fede» è passato dal 6 per cento di ventun’anni fa al 21 di oggi. Ma evidentemente quel 76 per cento di over 65 per i quali l’insegnamento della Chiesa è «molto importante» o «utile, ma poi ciascuno deve regolarsi secondo coscienza» (47 per cento tra 55 e 64 anni, 53 per cento tra 45 e 54 anni e 48 per cento tra 30 e 44 anni) conta ancora molto.