Nidi, “investimenti del Pnrr a rischio”. L'allarme (e 6 richieste) di EducAzioni

La rete: "Richieste di finanziamento solo per la metà dei fondi disponibili: 1,2 miliardi rispetto ai 2,4 miliardi stanziati. Così non sarà possibile raggiungere l’obiettivo della copertura del 33% su tutto il territorio nazionale”. E la proroga della scadenza dei bandi "non è sufficiente". Le priorità

Nidi, “investimenti del Pnrr a rischio”. L'allarme (e 6 richieste) di EducAzioni

Monitoraggio più puntuale, fondi adeguati per la gestione, sostegno alla progettazione, allungamento dei termini per la presentazione delle domande e riformulazione di alcuni termini degli stessi, iniziativa diretta del ministero nel caso di mancanza di proposte da aree prive del servizio e avvio immediato della programmazione in merito al personale necessario per la gestione dei servizi educativi. Sono le richieste del network #educAzioni, rete nazionali di associazioni, terzo settore e organizzazioni di società civile, al Governo

“A fine febbraio - si legge in una nota della rete - è scaduto il termine per le candidature, inviate da parte degli Enti locali, per ottenere i fondi Pnrr destinati a mense, palestre, asili nidi e scuole dell’infanzia. L’adesione è stata massiccia e con richieste di finanziamento di gran lunga superiori ai fondi disponibili per tutti i settori, salvo che per i nidi, dove le richieste di finanziamento riguardano solo la metà dei fondi disponibili messi a disposizione nel bando: 1,2 miliardi rispetto ai 2,4 miliardi stanziati”. Salvo che per l’Emilia-Romagna, spiega Educazione, tutte le regioni hanno presentato richieste al di sotto del budget stanziato, ma la situazione è particolarmente grave per quelle che già partivano da una dotazione molto bassa. “Se non si riuscirà a colmare questa assenza, - spiegano gli osservatori della rete - non sarà possibile raggiungere l’obiettivo minimo di una copertura del 33% su tutto il territorio nazionale, garantendo ai più piccoli un livello essenziale di risorse educative indipendentemente da dove vivono e dallo status occupazionale dei genitori, in particolare della madre, che costituisce l’obiettivo del Pnrr, ulteriormente rafforzato dalla Legge di stabilità per il 2022, che prevede un finanziamento annuo di importo crescente ai Comuni per fare fronte alle spese di gestione: 120 milioni di euro nel 2022 per arrivare a 1,1 miliardi a decorrere dal 2027”.

Per la rete “la proroga a fine marzo della scadenza dei bandi per questo settore non è sufficiente, se non si affrontano le criticità di cui la scarsità delle proposte e le caratteristiche dei Comuni che hanno fatto domanda, sono insieme un indizio e una conseguenza”. Criticità che la rete ha da tempo segnalate, che sono essenzialmente tre:
In primo luogo il ricorso a bandi nel caso di livelli essenziali di prestazioni, come sono giustamente concepiti i nidi sia nel PNRR, sia nella legge di stabilità, appare altamente problematico, perché affida la loro realizzazione alla disponibilità e capacità delle amministrazioni locali di fare progetti adeguati. La garanzia dei livelli essenziali non può essere lasciata alla discrezione delle amministrazioni locali, ma deve essere garantita innanzitutto a livello centrale, come avviene per la scuola e la sanità.
In secondo luogo, come ci ricordano i dati pubblicati dall’Istat nel novembre 2021, buona parte della spesa dei nidi è in capo ai Comuni. La spesa impegnata per servizi educativi comunali o convenzionati con i Comuni nel 2019 è stata pari a un miliardo e 496 milioni di euro, di cui 1,2 miliardi di euro a carico dei Comuni e la restante quota a carico delle famiglie tramite le rette. Questa cifra ha permesso a circa 197.500 i bambini sotto i 3 anni di fruire di tali servizi educativi, pari al 14,7% del totale dei loro coetanei. I Comuni possono nutrire timori nell’accettare i fondi del PNRR per investire nella costruzione di nuovi nidi in assenza di certezze sul finanziamento aggiuntivo futuro per poter coprire i costi di gestione. Le cifre previste dalla legge di stabilità, pur costituendo un importante segnale positivo, sembrano ancora non adeguate a quanto sarebbe necessario. Molti Comuni, quindi possono legittimamente non volersi impegnare a sostenere una spesa che sanno di non poter fronteggiare in assenza di un impegno forte e certo dello Stato.
In terzo luogo, molti Comuni in Italia hanno una scarsa dimestichezza con la progettazione di nidi e servizi educativi alla prima infanzia, proprio perché non ne possiedono. Spesso si tratta di Comuni di piccole e medio-piccole dimensioni, enti locali in aree interne e nel Mezzogiorno. Ciò che è probabilmente successo in queste settimane è stata la difficoltà di questi Comuni con poca esperienza a investire tempo e risorse sul tema nidi, dato che si sono trovati a dover rispondere in contemporanea a bandi diversi, su settori differenti, nell’ambito dell’istruzione ma non solo. In molti casi è probabile che, dati anche i tempi relativamente stretti dei bandi e la loro complessità, i Comuni abbiano privilegiato investire il loro tempo per interventi rispetto a cui avevano competenze più consolidate.

Alla luce di questa analisi e del risultato "preoccupante" del recente bando sui nidi, educAzioni esprime sei richieste:

1. Maggiore attenzione alle motivazioni che hanno spinto molti Comuni a non fare domanda. Il fatto che non siano arrivate richieste da Comuni per una parte molto consistente dei fondi destinati ai nidi richiede innanzitutto un approfondimento conoscitivo. Occorre un’analisi puntuale di quali sono i profili dei Comuni che hanno fatto domanda e i profili di quelli che hanno partecipato meno (in termini di regione di appartenenza, dimensione demografica, collocazione geografica, presenza di dissesto finanziario o meno, etc.) proprio per comprendere come indirizzare meglio gli sforzi. Allo stesso tempo, è importante capire che tipo di progetti sono stati presentati dai Comuni nel bando dedicato alle scuole dell’infanzia e ai poli dell’infanzia (questi ultimi ricomprendono potenzialmente anche lo 0-2), dato che per questo segmento sono stati richiesti finanziamenti per oltre 2,1 miliardi sui 600 milioni disponibili. Nell’ottica del rafforzamento dei servizi educativi per la fascia 0-2 è necessario comprendere quanto i progetti relativi ai poli dell’infanzia includano effettivamente una espansione dei servizi educativi nella fascia 0-2 e quali profili di Comuni hanno fatto domanda per questi interventi.

2. Garanzie ai Comuni sull’adeguatezza dei fondi che avranno a disposizione per gestire i servizi educativi alla prima infanzia. Dato che l’ultima Legge di Stabilità già richiamata destina in modo crescente fondi ai nidi nei prossimi anni, è importante che tale informazione sia con quanto più chiarezza possibile veicolata ai Comuni per rassicurarli, chiedendo in tal senso anche la collaborazione della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome e dell’ANCI. Inoltre, è importante che il Governo inizi già da ora a pensare che la cifra stanziata non sarà sufficiente per l’obiettivo della copertura al 33% e ulteriori risorse saranno necessarie, pena la realizzazione di infrastrutture (nidi) che non potranno essere aperte o sfruttate a pieno per via degli alti costi di gestione in carico a Comuni e famiglie.

3. Rafforzamento del sostegno ai Comuni in fase di progettazione. Il Ministero è ricorso in questi mesi a una serie di strumenti per supportare i Comuni in fase di progettazione, a partire dal ruolo attribuito all’Agenzia della Coesione territoriale. Nel condividere tale impostazione, educAzioni ritiene che tale sforzo vada rafforzato e vada meglio indirizzato. Sarebbe di nuovo importante capire quanti e quali profili di Comuni hanno chiesto supporto e consulenza in questi mesi per il bando sui nidi e se e quante sono rimaste le risposte inevase, proprio per comprendere come utilizzare in maniera anche più efficace le risorse dedicate a tali attività. Inoltre, si auspica un ulteriore rafforzamento del coinvolgimento di ANCI e Conferenza Regioni e Province Autonome in tale direzione. Infine, è opportuno e necessario prevedere che la comunità educante possa essere coinvolta e affianchi i Comuni nell’individuare i bisogni e nel formulare i progetti per i nidi.

4. Posponimento dei termini del bando per la presentazione delle domande e riformulazione di alcuni termini degli stessi. Alla luce di quanto fin qui argomentato, appare necessario che il Governo adotti una proroga temporale più lunga e congrua rispetto a quella di fine marzo, in modo da poter assicurare un maggior sostegno ai Comuni per superare gli ostacoli che non hanno favorito la loro partecipazione ai bandi attuali. Sempre in questa ottica, si auspica l’introduzione di due ulteriori criteri di premialità in fase di presentazione di progetti da parte dei Comuni: uno relativo al coinvolgimento di rappresentanti della comunità educante locale; l’altro relativo a proposte che prevedano forme di cooperazione intercomunale nella gestione dei nidi, soprattutto per i Comuni più piccoli.

5. Azione pro-attiva da parte del Ministero nella individuazione degli ambiti territoriali che non hanno presentato progetti nonostante il rapporto tra servizi disponibili e popolazione 0-2 sia al di sotto del 33%, anche operando in maniera sostitutiva, a garanzia dei diritti educativi dei bambini e delle bambine. È quanto mai necessario ricordare che sia il PNRR che la recente legge di Stabilità hanno finalmente definito i servizi educativi all’infanzia quali livelli essenziali. La garanzia di tali livelli non può essere lasciata alla discrezione delle amministrazioni locali: è importante che il Governo nazionale garantisca tali livelli soprattutto in quei territori in cui i Comuni fanno più difficoltà a sviluppare i servizi.

6. Avvio immediato della programmazione in merito al personale necessario per la gestione dei servizi educativi. Le riflessioni e le attenzioni del Governo in questi mesi si sono giustamente concentrate su come far aumentare le dotazioni di posti nei nidi, ma nel breve-medio periodo occorre tenere presente che l’effettivo funzionamento di tali servizi dipende dalla presenza di personale qualificato. Voler passare da una copertura del circa 15% al 33% richiede una attenta pianificazione, da impostare già ora, su come allargare e aumentare il personale qualificato che dovrà svolgere compiti educativi nei nidi e negli altri servizi all’infanzia. Il rischio è creare strutture che poi avranno problemi di funzionamento perché non vi sarà sufficiente personale qualificato. Pertanto, occorre avviare immediatamente un tavolo fra Ministero dell’Istruzione, Regioni, ANCI, terzo settore, sindacato e mondo dell’università (in particolare i Dipartimenti di Scienze delle Formazione, incaricati della formazione degli educatori e degli insegnanti per il sistema 0-6) con il fine di impostare una politica di rafforzamento e di programmazione volta ad assicurare un numero adeguato di personale qualificato a seguito dell’espansione dei servizi. Tale tavolo dovrebbe anche occuparsi di come migliorare le condizioni di lavoro nel settore, in modo tale da rendere l’occupazione nei servizi educativi 0-6 anche più attrattiva di quanto non lo sia attualmente.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)