Napoli. Mons. Battaglia: “Il presente e il futuro della città dipendono dall’impegno di tutti”
“Certamente stanno uccidendo Napoli la camorra e il malaffare, ma è bene ricordare sempre che questi fenomeni mortiferi possono esistere solo grazie all’indifferenza di coloro che si voltano dall’altra parte, credendo di poter stare tranquilli, non immischiandosi e non prendendo posizione”, dice al Sir l’arcivescovo
L’appello per un “Patto educativo nella città metropolitana di Napoli”, lanciato a ottobre dall’arcivescovo Mimmo Battaglia – contestualmente al grido di allarme: “Stanno uccidendo Napoli” – è stato accolto con attenzione e favore. C’è stata l’adesione di numerose istituzioni, realtà ecclesiali, enti del terzo settore e del volontariato, del mondo della scuola e della società civile. Positiva è stata la risposta del presidente della Regione, Vincenzo De Luca, del sindaco, Gaetano Manfredi, e del prefetto, Claudio Palomba. Oggi, lunedì 20 dicembre, l’arcivescovo invita tutti coloro che hanno aderito al Patto educativo a un incontro che si terrà nel duomo di Napoli per presentare alcune proposte concrete, confrontandosi con le autorità presenti. A ottobre il presule ha anche avviato il XXXI Sinodo diocesano, che nella prima fase è di adesione e preparazione al Sinodo dei vescovi indetto da Papa Francesco e nella seconda sarà a livello diocesano, e pubblicato “Shemà… Ascolta!”, la prima lettera pastorale che ha rivolto alla diocesi di Napoli dal suo ingresso, il 2 febbraio scorso. Di tutto questo parliamo con mons. Battaglia.
Eccellenza, quali sono i mali che stanno uccidendo la città? Certamente, la camorra in primis…
Napoli è una città complessa e le cause dei suoi mali sono da ricercarsi in diverse situazioni, dinamiche, omissioni. Certamente stanno uccidendo Napoli la camorra e il malaffare, ma è bene ricordare sempre che questi fenomeni mortiferi possono esistere solo grazie all’indifferenza di coloro che si voltano dall’altra parte, credendo di poter stare tranquilli, non immischiandosi e non prendendo posizione! Anche la politica, nazionale e locale, contribuisce ai mali della nostra città nella misura in cui si abitua al sangue versato, considerandola alla stregua di un paese in guerra, senza incidere con politiche sociali, educative, lavorative capaci di prevenire derive devianti. Credo anche però che
ognuno di noi debba battersi il petto accusandosi perché nella misura in cui facciamo finta di niente, dimenticando che il presente e il futuro della città dipendono dall’impegno di tutti, contribuiamo al suo male.
A chi rivolge il suo appello per una rinnovata “primavera sociale”?
L’appello è rivolto a tutti, nessuno escluso. Alla mia Chiesa, alla società civile, alle istituzioni.
Non è più tempo di eroi solitari ma di comunità eroiche, di processi ed esperienze sociali capaci di passare da un freddo individualismo ad un senso rinnovato e caloroso di comunità.
Occorre fare rete, creare un sistema di vita alternativo al sistema di morte, trasformando tanti piccoli “io” impauriti e distratti nella forza di un grande “noi”, la cui carica profetica può essere segno e strumento di una possibile resurrezione della nostra terra.
Lei ha lanciato un appello per un Patto educativo per la città metropolitana di Napoli e ha anche istituito un Osservatorio sulle risorse e sulle fragilità educative…
Il Patto educativo è un percorso che riguarda l’intera città metropolitana, che intende rimettere al centro dell’attenzione di tutti l’emergenza educativa, mettendo insieme esperienze, ruoli, linguaggi e passioni differenti per dare vita ad un alfabeto comune dell’educare.
Già sono giunte diverse risposte, adesioni, richieste. E non è mancata la risposta delle istituzioni. Come vescovo, ho istituito un Osservatorio sulle risorse e sulle fragilità educative, per accompagnare il percorso del Patto, per vigilare sulla sua realizzazione affinché non resti un semplice evento celebrativo o un insieme di protocolli firmati sulla carta ma senza incidenza concreta nella vita dei piccoli. Nella fase iniziale l’Osservatorio ha accolto le adesioni di tutte le realtà che hanno risposto all’appello, impegnandosi concretamente perché questo sogno diventi segno.
In una terra in cui c’è fame di lavoro, quali prospettive si possono dare ai giovani? Intanto, sul territorio della sua diocesi c’è il dramma che riguarda i lavoratori della Whirlpool.
Il lavoro non è più un’emergenza ma un’urgenza. E la Whirlpool è solo un tragico simbolo di una situazione di sofferenza diffusa anche nelle realtà più piccole.
La Repubblica è fondata sul lavoro non solo perché il lavoro è il motore dell’economia, ma anche perché è veicolo di senso, strumento di dignità, ambito di realizzazione. Una città con un tasso di disoccupazione elevato è una città che ha un problema non solo economico ma di dignità e dove la dignità delle persone non è rispettata sorgono tanti altri mali, che con politiche lavorative adeguate potrebbero essere prevenute. Sono a fianco di ogni operaio e di ogni famiglia della Whirlpool e spero che questo dramma si risolva ma al contempo dico a tutti che questa soluzione è un primo passo necessario a cui devono seguire molti altri passi capaci di creare opportunità lavorative sul territorio, restituendo dignità ai tanti disoccupati della nostra città.
Lunedì 18 ottobre è iniziato il XXXI Sinodo diocesano. Cosa spera si raggiunga attraverso questo evento di grazia?
Ho scelto di indire il XXXI Sinodo diocesano proprio all’inizio del mio ministero episcopale perché, dopo aver ascoltato tantissimi preti, religiosi e laici in questi otto mesi, mi sono reso sempre più conto della necessità del
superare l’individualismo per riscoprire la bellezza dell’essere comunità. E non vi è strumento più adatto del Sinodo per far questo!
Desidero che il mio servizio episcopale diventi davvero uno strumento di questo processo comunitario sinodale! Poi, l’invito di Papa Francesco a riscoprire la bellezza della sinodalità e il percorso sinodale della Chiesa italiana mi hanno confermato nella scelta di inscrivere il piccolo sentiero sinodale della nostra Chiesa partenopea in quello più ampio dell’intero popolo di Dio! Il Sinodo deve essere un tempo di grazia in cui prendere consapevolezza che Dio ascolta il suo popolo, raggiungendolo sui sentieri delle sue ferite e delle sue delusioni, facendosi compagno dei suoi sogni e dei suoi desideri, diventando solidale con le sue tristezze e con le sue gioie! È solo dalla consapevolezza di questa solidarietà di Dio che la Chiesa prende le mosse per essere solidale con gli uomini e le donne del tempo presente. E questa solidarietà è fondata sull’ascolto: di Dio, dell’uomo. Il primo passo del nostro Sinodo è l’ascolto, a cui ho dedicato la mia prima lettera pastorale alla Chiesa di Napoli.
Dobbiamo entrare nella dimensione dell’ascolto, porgere l’orecchio alle parole di amore che Dio ci rivolge, per poi metterci in ascolto della gente che siamo chiamati a servire, della città a cui desideriamo annunciare il Vangelo, della terra in cui siamo chiamati a seminare la speranza. Così la nostra Chiesa napoletana, fedele al mandato del suo Signore, sarà luce per l’intera città, seme del riscatto della nostra terra.