Missionari, chi torna e chi parte. Don Attilio De Battisti rientrerà dopo dodici anni in Thailandia. Don Mario Gamba partirà per l'Amazzonia
Don Attilio De Battisti sta per rientrare in diocesi dopo dodici anni in Thailandia. Don Mario Gamba è pronto per raggiungere l’Amazzonia brasiliana del Roraima. Continua la collaborazione tra la Chiesa di Padova e le Chiese sorelle sparse nel mondo
La storia della missione è un’epopea che si dispiega lungo i secoli. Alcune generazioni seminano, altre raccolgono. Paesi lontani, prima oggetto di missione da parte della vecchia Europa, diventano a loro volta fucina di nuovi missionari. E poi ci sono le storie personali: preti, religiosi e laici che partono per mille luoghi, uniti da una stessa ma multiforme chiamata. Alcuni di loro non torneranno più, scegliendo di far parte per sempre dei popoli raggiunti. Altri, invece, terminata la missione, saranno chiamati a essere ancora missionari, questa volta in seno alla stessa Chiesa che li aveva un tempo cresciuti e poi inviati.
Nelle prossime settimane farà il suo ritorno a casa don Attilio De Battisti. Nato a Casale di Scodosia nel 1963, prete dal 1988, già missionario in Ecuador dal 1991 al 2003, dal 2008 è fidei donum in Thailandia, a Lamphun, a trenta chilometri dall’altra missione di Chaehom, sempre nella diocesi di Chiang Mai. «Sono due esperienze missionarie molto diverse – ci racconta don Attilio in una chiamata WhatsApp mentre è in viaggio – Chaehom (dove ha avuto origine la missione delle diocesi del Nordest nel paese asiatico, ndr) è una realtà rurale con molti gruppi etnici, lingue diverse, popolazioni tribali e animiste, tra le quali è molto più semplice l’evangelizzazione. Lamphun, invece, è radicalmente fondata sul buddismo: qui ci sono grandi luoghi di culto, una città che ha dato vita a numerosi santi buddisti, tanto che il vescovo del posto, di fronte alla volontà di aprire qui un’esperienza parrocchiale, è rimasto sorpreso». A Lamphun i cristiani sono pochi, ma la loro è una presenza profetica: «La parrocchia è nata raccogliendo i fedeli disseminati per la provincia che prima potevano andare a messa solo una volta l’anno. A questi si sono aggiunti i lavoratori della zona industriale provenienti da altre province, raggiunti poi da un ulteriore nucleo di lavoratori birmani».
Ora però è tempo di rientrare: «Ho concluso questi dodici anni: è un periodo più che sufficiente per imparare lingue considerate impossibili e per compiere un buon servizio presso la Chiesa locale». Il bagaglio è carico: «L’incontro con altri modi di esprimere la stessa fede è molto arricchente. La testimonianza cristiana può essere veicolata in forme assai diverse: è un insegnamento che non si riceve dai libri. L’esperienza missionaria aiuta a relativizzare certe esagerate paure pastorali: la grazia di Dio non si ferma davanti a nulla». Tra tanti potenziali cambiamenti, resta una certezza: «Sono contento di continuare a essere un prete della Chiesa di Padova. Dopo un tempo di adattamento farò ciò che mi verrà chiesto – e aggiunge, ridendo – spero che chi guarderà la mia carta d’identità sarà un po’ misericordioso con me, sapendo che sono avanti con l’età».
Per un missionario che torna c’è un missionario che parte. Si tratta di don Mario Gamba, classe ’69 nativo di Thiene, prete dal 2003, fino allo scorso settembre parroco a San Giacomo e Lion di Albignasego. La sua destinazione è Roraima, nell'Amazzonica brasiliana, dove – già nelle prossime settimane – si unirà agli altri fidei donum padovani. Nei mesi scorsi si è formato al Cum di Verona, attualmente è ospite a Montegrotto, studia la lingua portoghese e celebra nelle parrocchie dove c’è bisogno. «Mi hanno già inserito nel gruppo WhatsApp dei missionari – confida per telefono – così pian piano comincio ad ascoltare e ad aggiornarmi su come stiano andando le cose in questo momento». Certo, ci si può preparare con impegno, ma don Mario è ben consapevole che si tratterà comunque di un mezzo salto nel buio: «Non mi faccio aspettative, sarà bello ricevere tutto come un dono. Non penso dunque io alla missione, è la missione che si mostrerà e mi chiamerà. Certo, dovrò inserirmi pian piano sapendo che ci vorrà del tempo per capire. Mi conforta essere consapevole che farò parte di una squadra».
Si parla molto del Brasile e dell’Amazzonia: le contestate politiche di Bolsonaro, la strage dei nativi, la natura ferita e violentata, i richiami di papa Francesco nella Laudato Si’ e nel sinodo. Ma lì sarà tutto diverso: «Bisognerà entrarci dentro davvero. Qui le notizie arrivano un po’ “rimbalzate” e si rischia di farsi trascinare da aspetti meno rilevanti. Da quel che sento il Brasile è magnifico, ha le sue difficoltà ma è un mondo straordinario al quale la nostra Diocesi si è dimostrata sempre attenta».
Tra tanta preghiera, auspici e speranze, qual è il pensiero migliore per una nuova avventura missionaria che inizia? Don Attilio De Battisti è lapidario: «Un fidei donum che parte deve essere contento e sentirsi fortunato nell’essere tra coloro che la Chiesa ha scelto di inviare». E spiega: «Troverà difficoltà e situazioni che non corrispondono ai sogni, ma sentirsi parte di una squadra potrà dargli tutto l’orgoglio necessario, perché tutti danno la propria disponibilità, ma solo alcuni vengono scelti per essere inviati».