Minuzie…La politica è (anche) il decidere come spendere le risorse in mano allo Stato
Chiunque arrivi a gestire le leve del potere lo fa rispettando certi canoni, determinati bisogni, tutta una serie di regole e, non ultimo, il fatto che siamo dentro l’Unione Europea
Ma quanti soldi ha a disposizione lo Stato italiano per le proprie spese? L’ultimo bilancio parla di una cifra attorno agli 870 miliardi di euro. Ebbene, la legge di bilancio che sta preparando l’attuale governo con tanta fatica – ma normalmente tutti i governi hanno fatto la stessa fatica – ragiona attorno ad una cifra “ballerina” che si aggira sui 25 miliardi di euro. Insomma, tutto il resto è “bloccato”, non è considerato disponibile.
Se la politica è (anche) il decidere come spendere le risorse in mano allo Stato, ecco la plastica rappresentazione del poco che essa sa o può fare: nemmeno il 3 per cento spostato da qua a là. Oppure, se non disponibile, preso a debito: cosa fatta da quasi tutti i governi degli ultimi decenni.
Poco più di una ventina di miliardi, da puntare tutti su un’unica posta oppure da sparpagliare qua e là: aiuti ai territori, ai redditi bassi, a qualche parte di opera pubblica, a quel settore dell’economia e via via frastagliando fino alle minuzie che i parlamentari strappano (di solito nottetempo) per quel territorio o per quell’altro collegio elettorale.
Inutile dire che la prima ipotesi (tutto su uno) è solo un’ipotesi di scuola: la coperta così tirata scoprirebbe troppe aspettative e bisogni. E tutto ciò si scontra con due situazioni: da una parte le famose promesse elettorali, che alla prova dei fatti… Dall’altra, con le cosiddette grandi riforme, che s’impantanano subito se richiedono pure grandi somme.
Cifre più imponenti si avrebbero scuotendo l’albero delle spese “bloccate”. Ma in Italia non si usa fare tagli brutali di bilancio: un po’ per un generico senso di bene comune che impedisce di penalizzare pesantemente qualche categoria sociale od economica, un po’ per questioni elettorali che nessuno trascura.
Giusto o sbagliato che sia tutto ciò, rimane un’oggettiva fragilità di manovra per i governi che si succedono. Alla fine della fiera, chiunque arrivi a gestire le leve del potere lo fa rispettando certi canoni, determinati bisogni, tutta una serie di regole e, non ultimo, il fatto che siamo dentro l’Unione Europea. Quindi prima si invocano le montagne, poi si esaminano i topolini partoriti: per le pensioni, per i meno abbienti, per la salvaguardia del territorio, per gli incentivi, ecc… Con il sottotesto speranzoso: adesso va così, ma vedrete che in futuro…
Una postilla. Quando sentite l’ormai classica frase: taglio delle spese dei ministeri, non si tratta della decimazione degli impiegati o della sottrazione di gomme e matite per la cancelleria. Si tratta del taglio di spese volute in passato – dalla linea di metro agli invasi idrici (fondi ancora non spesi? Li togliamo) – che sono qualcosa di ben diverso rispetto agli agognati “tagli degli sprechi”.