Migrazioni di italiani all’estero, il virus riesce laddove incentivi pubblici hanno fallito
L’Idos diffonde i dati sulle “nuove migrazioni” raccolti da Istat e Aire. Nel corso degli ultimi 10 anni quasi un milione di italiani si sono “cancellati” dalle anagrafi comunali per espatrio all’estero, con un ritmo crescente nel tempo. Nel 2020 sono stati 112.218 i cancellati: un flusso annuale notevole, ma che risulta in diminuzione per la prima volta nel corso del nuovo millennio. Ma è impossibile ipotizzare una “migrazione di ritorno”
Nel corso degli ultimi 10 anni quasi un milione di italiani si sono “cancellati” dalle anagrafi comunali per espatrio all’estero, con un ritmo crescente nel tempo che ha visto superare le 100 mila unità all’anno già a partire dal 2015.
Nel 2020, in particolare, sono stati 112.218 i cancellati per l’estero e, di questi, il 45,5% era rappresentato da donne. Si tratta di un flusso annuale notevole (incidendo per il 2,1‰ sulla popolazione italiana), ma che risulta in diminuzione per la prima volta nel corso del nuovo millennio (-8,0, rispetto ai 122.020 i cancellati per l’estero del 2019). È l’annuncio di un cambiamento di rotta delle nuove migrazioni degli italiani? Se lo chiede l’Idos, che afferma: “Quello che è certo è che la pandemia e le restrizioni alla circolazione internazionale non hanno completamente fermato i flussi, né incrementato in maniera significativa i ritorni (solo 43.229 nel 2020), nonostante molti abbiano perso il posto di lavoro all’estero e un certo numero abbia potuto usufruire di forme di telelavoro a distanza”.
L’analisi del movimento anagrafico di medio periodo, su dati Istat, conferma la peculiarità della nostra emigrazione contemporanea, caratterizzata da tanta “fuga di cervelli” e poca “circolazione di cervelli”.
Nonostante un sistema che produce davvero pochi laureati (nel 2018 la percentuale di 30-34enni con un livello di istruzione terziaria raggiungeva in Italia il 27,8%, contro il 40,7% della media Ue), la laurea continua a non offrire, come invece avviene nel resto dei Paesi Ocse, possibilità d’impiego maggiori rispetto a quelle di chi ha un livello di istruzione inferiore: tra il 2008 e il 2020 sono ufficialmente espatriati dall’Italia 355 mila giovani tra 25-34 anni e circa 96 mila coetanei sono rimpatriati. La differenza tra rimpatri ed espatri è rimasta costantemente negativa negli anni e, cumulata tra il 2008 e il 2020, ha comportato una perdita complessiva di 259 mila giovani, di cui 93 mila con al più la licenza media (36%), 91 mila diplomati (35%) e 76 mila laureati (29%).
A livello di Paesi di destinazione, le perdite nette di giovani registrate nel periodo 2008-2020 si sono risolte prevalentemente a favore di Paesi europei, come il Regno Unito (cumulativamente -19 mila giovani) e Germania (-11 mila).
“Secondo le nostre stime - afferma Idos -, oltre che per i 112 mila iscritti all’Aire per espatrio, il numero globale degli italiani all’estero è cresciuto nel 2020 per effetto di oltre 78 mila iscritti per nascita all’estero, 8 mila acquisizioni della cittadinanza italiana dall’estero e 22 mila iscrizioni per altri motivi, pervenendo così ad un numero complessivo di 5.652.080 italiani iscritti all’Aire (di cui il 48,1% è costituito da donne, il 15% da minorenni, il 64,7% da adulti tra i 18 e i 64 anni e il 20,3% da ultra65enni)”.
“Apparentemente il virus sembra essere stato in grado di invertire una linea di tendenza che anni di incentivi e altre iniziative (sia pubbliche che private) non erano riusciti a scalfire – continua l’istituto -. I dati del primo anno di pandemia, infatti, vedono un leggero rallentamento dell’emigrazione dei laureati e ha tendenzialmente favorito il rientro di giovani dall’estero, ma resta difficile intravedere una reale inversione di tendenza in assenza di politiche mirate a ridurre significativamente le perdite in termini di capitale umano che l’emigrazione sottende”.
Per ora, tuttavia, le condizioni perché si realizzi la cosiddetta “migrazione di ritorno” in Italia risultano obiettivamente insufficienti: secondo l’analisi di Idos “il mercato del lavoro resta poco attrattivo e ancor meno competitivo; il Paese è bloccato dal punto di vista delle infrastrutture, dell’innovazione, della qualità dei servizi; una burocrazia barocca, il clientelismo politico e il radicamento della malavita condizionano le prospettive per il futuro. In questo contesto – conclude l’istituto - sarà determinante investire in maniera virtuosa e nei tempi definiti i fondi allocati dall’Europa con il piano ‘Next Generation Eu’, un’occasione unica per rilanciare il nostro Paese”.