Migranti, profeti di speranza al Festival Biblico. Alla Sala della Carità con Monica Mazzuccato e Alberto Remondini
Sala della Carità. Dialogo tra Monica Mazzucato (Comunità di Sant’Egidio) e padre Alberto Remondini (Popoli Insieme) sabato 28 maggio alle 16
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All’interno del Festival biblico, nell’edizione padovana, si terrà un incontro dal titolo “Quale speranza di nuovo cielo e nuova terra? Migranti, profeti di speranza”. L’appuntamento – in programma sabato 28 maggio, alle ore 16 presso la Sala della Carità (via San Francesco 61 a Padova) – sollecita una prima domanda: come trovare e vivere la speranza in un contesto come quello attuale dove i cieli e la terra sembrano infuocati, divampando conflitti e violenze? E i migranti, come possono essere o diventare profeti di questa speranza? Per rispondere a questioni così impellenti, interverranno padre Alberto Remondini, gesuita, direttore del centro Antonianum di Padova e Monica Mazzucato della Comunità di Sant’Egidio. La proposta intende mettere a confronto sul tema dei migranti due esperienze: quella della Comunità di Sant’Egidio e dell’associazione Popoli Insieme (realtà che opera da molti anni a favore dei richiedenti asilo e rifugiati all’interno della rete mondiale dei gesuiti per i rifugiati, il Jrs-Jesuit refugee service), entrambe impegnate a Padova, e non solo, nell’assistenza a queste persone. Il titolo dell’incontro del 28 riprende – declinandolo rispetto ai migranti – il tema del Festival biblico di quest’anno, che fa riferimento al libro dell’Apocalisse (Ap 21,1) in cui il profeta vede un cielo nuovo e una terra nuova. Nell’incontro «vorremo esprimere come i migranti, spesso considerati come un peso sociale e dunque messi ai margini, possano diventare loro stessi profeti di questa speranza» afferma padre Remondini. È quindi necessario «rimboccarci le maniche per non aspettare cieli nuovi e terre nuove dall’alto. C’è la necessità di costruire una “nuova terra”, fatta di giustizia e condivisione: da noi dipende la speranza dei migranti, dalle nostre azioni di giustizia intelligente e conseguente alla nostra compassione». È solo nell’incontro personale «con i loro percorsi di sofferenze e di morte che i nostri occhi possono aprirsi alla prospettiva di un mondo diverso, che inizia da noi, dalle nostre azioni concrete».