Marina Sakharov-Liberman: “Il sogno di Navalny continua”
“Mi aggrappavo alla speranza che Navalny potesse essere oggetto di scambio e che l’attenzione internazionale sul suo destino lo avrebbe tenuto in qualche modo al sicuro. Ma ho sempre pensato che le sue possibilità di sopravvivenza non fossero molto grandi”. Intervista a Marina Sakharov-Liberman, nipote del fisico dissidente Andrej Sakharov, Premio Nobel per la Pace nel 1975
Alexey Navalny, oppositore del regime russo, è morto il 16 febbraio nella colonia penale IK-3, in Siberia oltre il Circolo polare artico, dove era detenuto. Nel 2021 aveva ricevuto dal Parlamento europeo il Premio Sakharov per la libertà di pensiero. “Mi aggrappavo alla speranza che Navalny potesse essere oggetto di scambio e che l’attenzione internazionale sul suo destino lo avrebbe tenuto in qualche modo al sicuro. Ma ho sempre pensato che le sue possibilità di sopravvivenza non fossero molto grandi”, dice al settimanale “Vita Trentina” Marina Sakharov-Liberman, nipote del famoso fisico russo dissidente Andrej Sakharov, Premio Nobel per la Pace nel 1975. Marina Sakharov-Liberman era legata da antica amicizia con il fisico russo Lev Pitaevskii, trasferitosi all’Università di Trento a partire dagli anni Novanta, per iniziativa del professor Sandro Stringari, e aveva collaborato con il Dipartimento di Fisica e in particolare con il Centro per la Condensazione di Bose-Einstein, che oggi è a lui intitolato.
Marina Sakharov-Liberman, Navalny ricevette nel 2021 il Premio intitolato a suo nonno. Quali furono le motivazioni? Può illustrare brevemente ai nostri lettori la storia del Premio?
Il Premio Sakharov per la libertà di pensiero è stato istituito nel 1988, quando Andrej Sakharov, premio Nobel per la pace, era ancora vivo. Nelson Mandela e Anatoly Marchenko nel 1988 sono stati i primi vincitori del Premio Sakharov, che è il più alto tributo per il lavoro sui diritti umani assegnato dal Parlamento europeo. Alexey Navalny, allora prigioniero politico, ha ricevuto il Premio nel 2021 per la sua lotta per porre fine alla corruzione e promuovere la democrazia nel suo paese.
Si aspettava la morte di Alexey Navalny?
Devo ammettere che questa è una questione che mi turba molto, a causa dei miei ricordi d’infanzia. Da bambina sentivo spesso parlare di Anatoly Marchenko da mio nonno e dalla mia matrigna Elena Bonner. Marchenko portò alla luce le terribili condizioni carcerarie dei prigionieri politici nell’Unione Sovietica. Morì in prigione nel 1986, in seguito allo sciopero della fame durato tre mesi. Mio nonno stesso propose Marchenko per il Premio Sakharov, postumo. Un altro amico di Sakharov, Natan Sharansky, trascorse nove anni nelle dure condizioni delle prigioni sovietiche. Grazie ad una campagna coraggiosa e instancabile della moglie, Avital Sharansky, fu alla fine rilasciato in un drammatico scambio presso il cosiddetto “Ponte delle Spie” a Berlino. Quindi, mentre mi aggrappavo alla speranza che anche Navalny potesse essere oggetto di scambio e che l’attenzione internazionale sul suo destino lo avrebbe tenuto in qualche modo al sicuro, ho sempre pensato che le sue possibilità di sopravvivenza non fossero molto grandi.
In che misura i valori incarnati da Alexey Navalny sono attualmente condivisi dalla popolazione russa?
Le preoccupazioni e le aspirazioni di Alexey Navalny riguardo alla corruzione, alla rappresentanza, alla felicità e alla fine della guerra sono certamente condivise da molti dei suoi compatrioti. Allo stesso tempo, se dovessi dire quanto sostegno ha attualmente Navalny, la risposta sarebbe diversa.
La sua morte ha scatenato commemorazioni e veglie spontanee in tutto il Paese, ma alla gente non è stato nemmeno permesso di piangere: i memoriali improvvisati sono stati prontamente rimossi, i fiori gettati senza tante cerimonie nei bidoni della spazzatura e, secondo OVD-Info, un’organizzazione per i diritti umani, almeno 400 persone in 36 città e paesi della Russia sono state arrestate dalla polizia, mentre tentavano di deporre fiori sui monumenti esistenti in onore delle vittime della repressione politica, nei due giorni successivi alla morte di Navalny.
È difficile comprendere che il regime abbia così tanta paura del suo stesso popolo. Allo stesso tempo, le persone hanno paura della repressione e cercano di proteggersi dai pensieri scomodi. Navalny è etichettato come un criminale, mentre la sua organizzazione è definita “estremista”. Esprimere sostegno a entrambi potrebbe comportare gravi conseguenze, quindi il popolo russo non manifesterà apertamente le proprie opinioni su di lui. Da ultimo, ma non meno importante, il governo russo ha cercato di eliminare e criminalizzare tutti i media indipendenti. Di conseguenza, molti russi ricevono le notizie solo dalle televisioni e dai giornali statali. Come sottolinea Dmitry Muratov, premio Nobel per la pace e editore dell’ormai disciolto quotidiano indipendente “Novaya Gazeta”, la maggior parte della popolazione russa è costantemente esposta a una propaganda tossica, che incide sulla sua capacità di pensare in modo indipendente. Il risultato è spesso uno sconcertante conglomerato di idee contrastanti e teorie del complotto.
Qual è oggi la situazione degli scienziati russi non allineati con il regime di Putin e qual è il loro livello di libertà?
Gli scienziati impegnati nella ricerca di base non hanno bisogno di allinearsi ad alcun regime per svolgere il proprio lavoro. Detto questo, la situazione per gli scienziati russi è preoccupante. La scienza russa è sempre stata una parte importante della scienza mondiale, ma oggi questa importante connessione è seriamente danneggiata. Molte università e istituti di ricerca russi sono soggetti a sanzioni occidentali. Ciò significa che ottenere attrezzature di laboratorio, reagenti e colture, nonché software e computer, è diventato molto più difficile.
Viaggiare dentro e fuori la Russia si è trasformato in un percorso da incubo: con la maggior parte dei voli diretti sospesi e le frontiere chiuse, uscire attraverso la Turchia è una delle poche possibilità rimaste. Si tratta di un viaggio lungo, faticoso e dai costi proibitivi, il che significa che meno scienziati russi possono partecipare a conferenze internazionali, anche se riescono a ottenere i visti per viaggiare.
La partecipazione a tali conferenze non è priva di rischi: in Russia sono in corso numerose indagini in base alle quali gli scienziati sono accusati di “divulgazione di segreti di stato” per aver collaborato con scienziati di “stati nemici” (praticamente qualsiasi paese europeo, USA, Canada), anche se lo scambio scientifico si basa su documenti di ricerca di pubblico dominio. Per quanto riguarda le scienze umanistiche (storia, scienze politiche e sociali), questi sono settori in cui il dissenso non è più tollerato.
Le motivazioni dei dissidenti di oggi sono simili o diverse rispetto a quelle degli oppositori del vecchio regime dell’Unione Sovietica, come nel caso di suo nonno?
Penso che la motivazione sia immutata: le persone vogliono vivere senza paura della repressione, per esprimere le proprie opinioni; le persone vogliono una rappresentanza nel governo, una società di diritto, costruita sul rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini.
Oggi la situazione non è normale: non solo gli attivisti politici, ma anche decine di scrittori, giornalisti e attori famosi e molto amati vengono etichettati come “agenti stranieri”, sostanzialmente nemici dello Stato.
Ogni venerdì viene aggiornato un elenco di questi “agenti stranieri” e vengono aggiunti nuovi nomi. Una società non può prosperare in un’atmosfera così opprimente.
Dopo l’attacco russo all’Ucraina, due anni fa, molte istituzioni scientifiche e università dell’Europa occidentale hanno deciso di ridurre la loro collaborazione con le istituzioni russe. Quali sono, secondo lei, le conseguenze di una simile decisione?
Le conseguenze per la scienza russa sono disastrose, perché in assenza di un normale scambio scientifico è difficile immaginare una scienza russa fiorente, ed è una perdita per il mondo intero, non solo per la scienza russa. Questa situazione è davvero triste, ma, allo stesso tempo, in un momento in cui i Paesi dell’Ue sono chiamati “Stati nemici” e gli scienziati russi che partecipano a conferenze internazionali possono essere accusati di essere “spie”, e, nel caso delle discipline umanistiche, la censura può essere estrema, è difficile immaginare una collaborazione scientifica normale.
Come valuta l’annuncio della moglie di Navalny, Yulia, di continuare l’impegno del marito?
Yulia Navalnaya è una donna coraggiosa e forte, e attirerà molta simpatia da parte di migliaia di sostenitori di suo marito. Cercare di continuare l’impegno del proprio marito è un’esigenza umana naturale. Alexey Navalny era un leader dell’opposizione di eccezionale coraggio, e si impegnava anche con le folle di sostenitori grazie al suo forte carisma e al suo senso dell’umorismo, che mai lo abbandonava, come ha mostrato anche un giorno prima della sua morte, facendo ridere con le sue battute i suoi carcerieri. I molteplici arresti subiti – e poi quello finale con la condanna a una pena detentiva di decenni – hanno fatto sì che non potesse più interagire con la folla dei suoi sostenitori. Anche Yulia Navalnaya non può recarsi in Russia per ricevere il sostegno della folla: le è stato detto che è accusata di estremismo e che sarà arrestata. Le sue possibilità di continuare l’impegno del marito sono limitate. Ma il suo sogno di vedere un giorno la Russia come un Paese pacifico e democratico piacerà a milioni di russi.
Marianna Malpaga e Augusto Goio (*)
(*) pubblicata su “Vita Trentina“