Manifestazione ad Hong Kong. Sisci (sinologo): “Il problema non è la legge ma la mancanza di fiducia”
Un milione di persone in piazza ad Hong Kong per manifestare contro l'estradizione forzata dei sospetti criminali verso la Cina. Francesco Sisci, sinologo: “La gente di Hong Kong teme che con questo emendamento Pechino possa facilmente chiedere l’estradizione, con l’accusa più o meno inventata, anche di dissidenti politici che vivono ad Hong Kong. Il problema quindi non è la legge in sé. Il problema è la fiducia che la gente ha verso la Cina”
“C’è un timore e il timore è che questa legge faciliti l’estradizione di criminali da Hong Kong alla Cina. Ora, l’estradizione è una cosa civile e giusta. Il problema è la fiducia, o meglio la mancanza di fiducia che c’è ed è cresciuta ad Hong Kong verso la Cina”. Parte da qui Francesco Sisci, uno dei maggiori sinologi ed esperti di Cina in Italia, per spiegare cosa ha spinto un milione di persone a scendere per strada per manifestare contro un progetto di legge presentato a Pechino che vorrebbe imporre l’estradizione forzata dei sospetti criminali verso la Cina continentale, dove verrebbero svolti i processi. “La gente di Hong Kong – spiega Sisci – teme che con questo emendamento Pechino possa facilmente chiedere l’estradizione, con l’accusa più o meno inventata, anche di dissidenti politici che vivono ad Hong Kong. Lo teme perché intanto la Cina è la Cina e perché ci sono stati casi di rapimenti di alcuni scrittori che da Hong Kong sono stati portati in circostanze non chiare in Cina”.
Un milione di persone sono tante?
Ad Hong Kong ci sono 7/8 milioni di abitanti. Si può dire che tutta la città ha protestato. Vuol dire che la gente ha paura e questo è un dato.
E Pechino, di fronte a questa protesta, come reagirà?
Se fa un passo indietro, dimostra che non sa dominare la situazione. Se invece continua ad insistere, a quel punto la questione Hong Kong diventa una vicenda internazionale. La manifestazione di Hong Kong ha attirato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Se la Cina insiste, vuol dire che vuole sottomettere Hong Kong e lanciare un messaggio forte al mondo.
Cosa teme la Cina?
Teme che in questa situazione di tensione crescente, Hong Kong possa diventare una base rivoluzionaria per sovvertire il suo potere costituito. Vorrebbe spegnere tutti i possibili fuochi nel territorio, solo che questo modo di agire così duro e diretto, non funziona, anzi moltiplica i fuochi e moltiplica le proteste. Tutto ciò avviene in un momento di grande tensione con gli Stati Uniti, mentre cioè ci sono trattative commerciali in corso. Tutte questioni che si possono infiammare una dietro l’altra e potremmo vedere nei prossimi mesi un aumento verticale della tensione internazionale intorno alla Cina.
Qual è oggi lo stato di Hong Kong?
Nel 1997, Hong Kong è ritornata alla Cina e per un periodo di 50 anni, cioè fino al 2047, la Cina si è impegnata a mantenere con Hong Kong un accordo basato su “un Paese, due sistemi”. Il punto è i “due sistemi”. Hong Kong dovrebbe mantenere le sue leggi, la sua libertà, la sua autonomia. Se però si introduce questo emendamento sull’estradizione, la gente di Hong Kong teme che in realtà i due sistemi saltino. Fino ad oggi, le persone sono state libere di criticare, di dire quello che volevano sulla Cina. Se domani passa questa legge sull’estradizione, la gente di Hong Kong cosa potrà o non potrà più fare? Loro dicono che questo emendamento cambia la natura stessa di Hong Kong. D’altro canto, la Cina non vuole che Hong Kong con la scusa di “un Paese, due sistemi” diventi la base della sovversione contro la Cina stessa.
A questo punto, che margine di movimento ha la Cina?
Ha due opzioni. La prima è fare un passo indietro. In questo modo la situazione si calma, ma questa opzione ha un costo. La Cina o chi in Cina ha responsabilità su Hong Kong, possono essere duramente criticati all’interno. Fare un passo indietro può significare perdere la faccia, dimostrarsi debole. L’altra opzione è che il governo cinese non faccia marcia indietro e continui a imporre questo emendamento. In questo caso, aumentano le tensioni esterne attorno alla Cina, che passa per sistema palesemente arrogante che ignora la volontà popolare.
C’è una terza via di uscita?
Il problema a questo punto è che la Cina non può non riconoscere che le cose ad Hong Kong sono andate storte e deve assumersene la responsabilità. Facendo un passo indietro dimostra al mondo di essere ragionevole. Se riesce a farlo, non lo so. Teniamo conto che Hong Kong è solo la punta di un iceberg di un problema più grande che è quello delle riforme strutturali e politiche. La Cina dovrebbe cominciare ad affrontare questo problema. Teme però che quando si apre il rubinetto delle riforme politiche, non si sa mai cosa viene fuori. Effettivamente è un rischio ma le riforme politiche vanno affrontate. Il Paese non può andare avanti in queste condizioni se vuole interloquire con il resto del mondo.