Malattie rare. In un corto la storia di Totò Cascio, tra sogni infranti a accettazione

Il protagonista di Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore si racconta in “A occhi aperti”, corto diretto da Mauro Mancini e realizzato da Movimento Film con Rai Cinema. Al centro della storia la convivenza con quella retinite pigmentosa che gli ha impedito di continuare il lavoro di attore che sognava

Malattie rare. In un corto la storia di Totò Cascio, tra sogni infranti a accettazione

Ve lo ricordate Totò Cascio, il simpaticissimo bambino protagonista di Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore? Oggi Totò ci racconta finalmente la sua storia nel cortometraggio “A Occhi Aperti”, diretto da Mauro Mancini e realizzato da Movimento Film con Rai Cinema per Fondazione Telethon, che è stato presentato ieri in una conferenza stampa su Zoom. La storia di Totò Cascio è quella della sua condizione – non la vuole chiamare malattia – la convivenza con la retinite pigmentosa, una degenerazione genetica della retina che comporta la perdita quasi totale della vista. E che gli ha impedito di continuare il lavoro di attore che sognava.
Fondazione Telethon è fortemente impegnata nella ricerca sulle malattie della retina e nello studio di trattamenti anche risolutivi. Il cortometraggio nasce per comunicare l’impegno di Telethon, ma anche pera parlare di un altro aspetto molto importante: l’accettazione della propria condizione da parte di chi la sta vivendo.
Il corto andrà in onda su Rai1 e sarà disponibile su RaiPlay dal 12 dicembre.

“A Occhi Aperti” è un film allo stesso tempo diretto, limpido, sincero, e anche molto poetico, estetico, a suo modo cinefilo. Le immagini del Totò Cascio di oggi che racconta la sua storia sono alternate a quelle di Totò bambino in Nuovo Cinema Paradiso. È un dialogo tra il Totò di allora e quello di oggi. E in un momento sembra che sia Philippe Noiret, il proiezionista del cinema di quel film, a rispondere con uno sguardo alle parole di Totò. Qua e là i luoghi e gli elementi di quel film si presentano durante il racconto. Mentre ascoltiamo la fine del racconto dell’attore, il filo conduttore delle immagini è un labirinto, un luogo magico che si trova in Sicilia, che è la metafora della condizione in cui la retinite pigmentosa aveva lasciato Totò: un labirinto senza via d’uscita.

“Avevo deciso per la prima volta di far incontrare il Totò bambino di Nuovo Cinema Paradiso e il Totò adulto - racconta Totò Cascio -. Avevo fatto un percorso di consapevolezza, ne avevo bisogno. Avevo in testa queste parole: gloria e prova. Siamo tutti bravi ad accettare la gloria, ma il vero uomo si vede nella prova. Per anni mi nascondevo, inventavo scuse per i giornalisti e per tutti quelli che mi proponevano delle cose. Vedendo questo corto mi sono reso conto della mia forza e per me è un punto di ripartenza”. Totò ha due fratelli, e con quello più grande condivide questa condizione. Quando l’ha scoperta “è stato tremendo, una batosta per me, i miei genitori e i miei fratelli” ricorda. “Per un bambino di 12 anni metabolizzare questo è difficile, pian piano con l mie lacrime, i miei sacrifici, con i miei attributi ce l’ho fatta. Io non la chiamo malattia, la chiamo condizione”.

Mauro Mancini, il regista del cortometraggio, collabora da anni con la Fondazione Telethon e questo è il quinto lavoro che realizza con Rai Cinema. “La storia di Totò Cascio è interessante per lavorare su uno degli elementi cu sui Telethon lavora da molti anni, quello dell’accettazione” riflette. “Totò l’ho conosciuto telefonicamente, abbiamo fatto delle lunghe chiacchierate di avvicinamento alle riprese, anche personali, non solo sulle tematiche del film”.
“Il corto è stato un gioco di rimandi visivi ed emotivi con il film di Tornatore - spiega poi il regista -. Era importante per me avere la piazza. Abbiamo girato in diversi posti del film. C’è un momento in cui c’è un piccolo passaggio che è un gioco di rimandi, e gli scalini dove arriva Totò erano quelli della sua vecchia casa. In Nuovo Cinema Paradiso a un certo punto passano la mamma e Totò bambino, e abbiamo cercato di metterci nello stesso posto”. “Il labirinto è nato dalle chiacchierate con Totò e dal fatto che lui si trovasse in qualche modo in un labirinto. Abbiamo pensato di ambientare alcune scene lì per dare questa sensazione”.

“Le parole di Totò dicono ancora meglio quello per cui siamo qui - interviene Francesca Pasinelli, direttore generale di Fondazione Telethon -. Dare speranza alle persone con la ricerca. Partire dalle storie è importantissimo perché ti permette di far vedere la persona prima che la sua malattia. Telethon ha dato voce alle persone, non vuole mai presentarle come malati ma come persone. Mauro Mancini ha detto che si tratta di rendere tutti consapevoli che prima di una malattia c’è la vita delle persone, le sue attese, i suoi desideri. La malattia ha assunto un altro aspetto in questi anni. La nostra ricerca scientifica non è per curare un occhio, ma per permettere a qualcuno di continuare a vedere il mondo”.

Alberto Auricchio, ricercatore dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli ha spiegato come la retinite pigmentosa non sia una malattia, ma un gruppo di malattie, 80 forme genetiche diverse trasmesse dai nostri genitori, anche sani”. “È una malattia progressiva - spiega il ricercatore -. Si comincia a perdere prima la visione notturna. Poi la malattia, dalla periferia della retina, si sposta verso il centro e si manifesta una fotofobia, e negli anni arriva a far perdere la vista”.
Fino a pochi anni fa non esisteva una cura. “Da quattro anni è stata approvata una terapia genica, e questo è stato uno dei progressi di Fondazione Telethon, come la terapia genica per un’altra malattia legata alla sordità. Con questi approcci terapeutici andiamo aggiungere una copia corretta di un gene che a causa della malattia è mutato. Riaccendiamo una funzione che nella retina è persa a casa della malattia”.
Sono 23 i progetti finanziati da Fondazione Telethon su questa patologia ereditaria con oltre 5,5 milioni di euro di investimento. Progetti di ricerca con l’obiettivo di individuare le cause della malattia e trovare risposte concrete in termini di cure e terapie. 

Oggi Totò Cascio vede molto poco, riesce solo a vedere le luci, un flusso di luce al centro dell’occhio. “È una condizione invalidante”, ci spiega. “L’unico consiglio a chi ha questa condizione è credere nella ricerca. Ma bisogna solo accettarla e andare avanti”. “Nella vita quotidiana sono autonomo”, risponde a una domanda. “Ci sono tante cose che non posso fare, ma io ci vivo bene, sono ripartito, apprezzo la vita per quello che mi dà”. A breve uscirà il suo libro autobiografico, e lui vuole continuare a condividere la sua storia. E magari tornare a fare l’attore, come ci ha confessato. “Credetemi, mi piacerebbe tantissimo”.

Maurizio Ermisino

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)