Magda, un nuovo inizio dopo la vita in strada

DONNE SENZA DIMORA  Romena di origine, nei 17 anni che ha trascorso in Italia ha conosciuto di tutto: la vita in strada, i lavori precari, l’alcol, la violenza, lo stupro di gruppo. È una delle ospiti di Casa Sabotino

Magda, un nuovo inizio dopo la vita in strada

Magda, 52 anni, è arrivata in Italia dalla Romania nel 2006, con l’allora compagno e il figlio 19enne. Nei 17 anni che ha trascorso in Italia ha conosciuto di tutto: la vita di strada, i lavori precari, l’alcol, la violenza, lo stupro di gruppo. È sopravvissuta e ora è qui, a casa Sabotino, seduta al tavolo del soggiorno, con il viso stanco e un abbigliamento casalingo, che mette in risalto, per contrasto, le mani dalle lunghe unghie smaltate, fresche di manicure: un piccolo atto di cura verso se stessa, un omaggio alla donna che avrebbe potuto essere e che forse, un giorno, diventerà. Stando a quanto racconta, all’arrivo in Italia, Magda e il suo compagno non hanno un progetto preciso e neppure un luogo dove stare.

Dormono alla Stazione Termini, per l’esattezza su Via Marsala, dove all’inizio di questo viaggio tra le donne senza dimora abbiamo incontrato la Matrioska dalla pelle bruna e Irma con il suo cane Charlie. Per oltre 6 mesi trascorrono le notti nell’androne dinanzi all’Ufficio Postale, insieme a un gruppo di una trentina di persone anche loro senza dimora. Ogni mattina, verso le sei, devono svegliarsi e andare via, allontanati dai carabinieri. Non conoscono la lingua, riescono a dire sì e no “buongiorno” e “buonasera”, ma piano piano cominciano a familiarizzare con la mappa della solidarietà cittadina: la scuola d’italiano di Via Giolitti, Sant’Egidio in Via Dandolo, il Centro Ascolto della Caritas di Via delle Zoccolette. Vanno in giro tutto il giorno, in attesa di poter tornare sotto il portico dell’Ufficio Postale. Magda trova un lavoro come badante, dura tre mesi, perché la signora che deve assistere muore. Seguono 12 anni di impieghi al nero e precari. La schiena le duole sempre di più per gli sforzi eccessivi, si affeziona agli anziani di cui si prende cura, ma alla fine muoiono sempre e quelle separazioni la deprimono.

Con il tempo gli intervalli tra un lavoro e l’altro si fanno più frequenti, fino a che non ritroviamo Magda e il suo compagno insieme in un’automobile abbandonata in zona Monti Tiburtini, 6 chilometri a est della Stazione Termini. “Io non stavo bene di salute, lui non riusciva più nemmeno a lavorare nei depositi di materiali edili, come potevamo pagare l’affitto? – dice –. Era difficile, in macchina pioveva e poi non sapevi mai dove fare i bisogni”. Poi il suo compagno si ammala, gli viene un tumore alla testa. Forse lo aveva da tempo, chissà. Ma entrambi lasciano l’automobile e vanno a dormire una alla Caritas e l’altro nel Centro notturno di Binario 95. Lei gli resta accanto e, una volta al mese, lo accompagna in ospedale a fare la chemioterapia. Nel frattempo il rapporto tra loro peggiora. Non è mai stato uno stinco di santo, racconta Magda, è un tipo irascibile, spesso rimane coinvolto nelle risse. E poi è stato due volte in carcere, per 4 anni complessivi, sia a Roma che in Toscana. Con lei ci va giù duro, la picchia. L’accusa di non amarlo e di sperare che muoia, tutto rappresenta una buona ragione per alzare le mani. Lei gli consegna i soldi che guadagna, ma non basta. Lui le ripete che non sa fare nulla e che non è buona nemmeno a rubare, che non sa neanche andare a prostituirsi. Lei lo sopporta per anni e ora che è anche malato, a maggior ragione, non vuole lasciarlo da solo. Tutti le consigliano di chiudere quella relazione malata, perfino i dottori che lo tengono in cura. “Una volta alla mensa di Via Marsala mi ha dato uno schiaffo così forte che pensavo che fosse saltata la luce. Tutto improvvisamente era diventato buio”. E lei che fa in questi casi? “Prendevo due antidolorifici, una birra e non ci pensavo più”. Quando lui finisce di nuovo in carcere, Magda si ritrova sola, finalmente. Ma non è semplice trovare un posto dove stare. Dorme nei Centri di accoglienza, va dalle suore di Madre Teresa di Calcutta e poi raggiunge suo figlio, che nel frattempo si è trasferito in Germania. Non potendo restare con lui, torna di nuovo in Italia, dove ricomincia la trafila dei Centri di accoglienza fino a che, a novembre 2021, approda a Casa Sabotino, dove, con il tempo e con tanta fatica, trova un equilibrio. “Quando bevevo birra ero sempre sorridente – riflette – ma a volte sentivo delle voci che mi dicevano di farla finita, perché lì dove sarei andata non ci sarebbero stati più dolori e sofferenza. Qui mi hanno detto che non sono una barbona né un’alcolista, piano piano sto imparando a prendermi cura di me stessa”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)