Lunga vita alle donne. Nuovi studi sulla differenza di longevità tra uomo e donna
La maggiore longevità femminile non è solo umana, ma è molto più diffusa tra le varie specie di mammiferi.
La longevità è… donna! Nel senso che – dato ormai ben noto – le donne vivono tendenzialmente più degli uomini. Una differenza che, da tempo, interroga la scienza sulle sue cause e condizioni. Ma finora, solo ipotesi e poche evidenze univoche.
Inoltre, si pensava che la maggiore longevità femminile riguardasse essenzialmente la specie umana. Un recente studio, pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”, evidenzia invece come tale tendenza sia molto più diffusa tra le varie specie di mammiferi. Lo studio è stato condotto da Tamás Székely, dell’Università di Bath, che ha coordinato un gruppo di colleghi per un’ampia collaborazione internazionale.
Si tratta di una ricerca che ha focalizzato il suo obiettivo sull’analisi della longevità di 134 popolazioni di 101 di specie di mammiferi selvatici – dalle orche agli elefanti, dai pipistrelli ai leoni –, mostrando come in circa 60 di esse le femmine vivono effettivamente più dei maschi. Anzi, a dirla tutta, il divario è ancora più marcato che tra gli esseri umani. Facendo una media tra tutti i mammiferi esaminati, infatti, le femmine vivono in media il 18% in più dei maschi, a fronte del 7,8% riscontrato negli esseri umani.
“Sappiamo da tempo – spiega Székely – che le donne vivono generalmente più a lungo degli uomini, ma siamo rimasti sorpresi nello scoprire che le differenze nella durata della vita tra i sessi sono ancora più marcate nei mammiferi selvatici che negli esseri umani”.
Purtroppo, la ricerca in questione non fornisce elementi nuovi che diano ragione di questa differenza così marcata e diffusa in tutte le specie considerate. Per quanto riguarda gli esseri umani, tante volte in passato era stata chiamato in causa il fattore genetico, ma questo studio indica che le femmine hanno un tasso di mortalità tendenzialmente inferiore agli uomini in tutte le fasce di età. Dato questo che fa propendere gli autori verso l’ipotesi che esso possa in realtà dipendere dall’effetto di complesse interazioni tra le condizioni ambientali e i costi, in termini di salute dell’individuo, legati alla riproduzione e alla cura della prole.
“Per esempio, allo stato selvatico le leonesse vivono almeno il 50 per cento più a lungo dei leoni maschi – aggiunge Székely – e finora si pensava che ciò fosse dovuto principalmente alla selezione sessuale, cioè al fatto che i maschi combattono tra loro per potersi accoppiare, ma i nostri dati non supportano questa ipotesi, e quindi ci devono essere altri fattori più complessi in gioco. Per esempio, bisogna tenere conto che le femmine vivono in un branco, dove sorelle, madri e figlie cacciano insieme e si prendono cura l’una dell’altra, mentre i leoni maschi adulti spesso vivono da soli o con un fratello, e quindi non hanno la stessa rete di sostegno”.
Gli studiosi, inoltre suggeriscono l’importanza del prendere in considerazione altri fattori, come le condizioni ambientali (ad es. la presenza di agenti patogeni, che possono determinare differenti tassi di mortalità tra maschi e femmine) oppure il costo che ha la cura della prole. Per verificare questa nuova possibilità, Székely e colleghi hanno già programmato, in una prossima ricerca, di confrontare tra loro popolazioni selvatiche e popolazioni che vivono in cattività, senza quindi essere esposte ai predatori e senza dover competere con i compagni per accaparrarsi il cibo. Del resto, in tale prospettiva, qualche indicazione sommaria ma chiara viene dall’osservazione delle pecore delle Montagne Rocciose (Ovis canadensis), già attuata da Székely e colleghi, in base alla quale si è evidenziato come, per questa specie, lo squilibrio di genere praticamente si annulla nelle popolazioni che hanno ampia disponibilità di risorse, mentre si accentuano in quelle che vivono in ambienti molto aridi.