Le prossime decisioni dei politici condizioneranno pesantemente l'economia
La presunta “neutralità” delle dinamiche economiche nei confronti delle decisioni politiche non regge all’urto dei cosiddetti “danni”.
(nella foto, il nuovo ministro dell'economia Giovanni Tria)
L’economia italiana sta tirando, nonostante il riscaldamento dei prezzi degli idrocarburi; nonostante le guerre commerciali e i dazi di Trump; nonostante il rafforzamento del dollaro che penalizza certi acquisti (ma favorisce certe esportazioni). Nonostante il nuovo governo?
Ecco, i responsabili politici ed economici del nuovo esecutivo dovranno ben presto prendere decisioni molto importanti; queste condizioneranno pesantemente il trend economico italiano. Il nostro Paese si ritrova a livelli pre-crisi (insomma al 2008) sia per quanto riguarda il Pil che l’occupazione; ci sono territori e distretti industriali che stanno crescendo fortemente; le nostre esportazioni volano un po’ ovunque, trainate da una moneta forte qual è l’euro e dall’innata capacità innovativa e imprenditoriale delle nostre piccole e medie industrie.
Ci vuole poco, però, per far deragliare un treno che, sì, sta correndo in avanti, ma a velocità assai moderata: molte altre economie occidentali stanno andando ad un passo ben più deciso. Fermare determinate infrastrutture strategiche, appesantire i conti pubblici con spese sconsiderate, pagare di più per interessi sul debito pubblico, non seguire con la dovuta attenzione le centinaia di crisi aziendali aperte e che possono evolvere in una maniera o in direzione totalmente opposta, bloccare ogni (timida) riforma del settore pubblico che da noi è vissuto come una zavorra e non come un volàno. Penalizzare un settore bancario che, dopo una lunga e faticosa attraversata del deserto, sta rimacinando utili copiosi e strategie di crescita. Carne da bruciare al fuoco ce n’è molta.
Insomma, chi vivrà vedrà. Ma l’economia non vive in una bolla a se stante rispetto al contesto politico e sociale in cui è immersa. La presunta “neutralità” delle dinamiche economiche nei confronti delle decisioni politiche – concetto tanto caro a molta imprenditoria del Lombardo-Veneto (a Roma giochino pure, basta che non facciano danni) – appunto non regge all’urto dei cosiddetti “danni”. Si pensi solo alla sconsiderata opzione di un’uscita dall’euro impraticabile, se non suicida: guardiamo al G8 o alla Moldavia?
Il solo fatto che ad essere contenti di una simile opzione sarebbero quei Paesi – Germania in primis – che da anni ci “sopportano” e ci considerano la zavorra dell’euro, dovrebbe far capire quasi a pelle quale sia la nostra convenienza. E nessuno avanzi demenziali proposte di decrescite felici e quant’altro mascheri nuove povertà dietro all’incapacità di affrontarle e sconfiggerle.